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Il rischio di aborto come complicanza dell’amniocentesi è in calo: si è passati dall’1% allo 0,3-0,5%.

Il merito è del ricorso all’assunzione di antibiotici prima dell’esame: metodica usata solo da qualche anno e che sta diffondendosi nei centri di diagnosi prenatale invasiva.

L’amniocentesi da sempre spaventa le donne in gravidanza, tanto che già da un pò si studiano le possibili alternative.

Per ora ciò che rassicura è certamente la profilassi con antibiotico: infatti, uno studio italiano APGA ha confermato come riesca a ridurre di circa il 50% il rischio di aborti.

Assumere antibiotici prima dell’esame serve a contrastare i batteri che normalmente colonizzano le vie genitali femminili, anche durante la gravidanza e che, sfruttando il momento del prelievo del liquido amniotico, possono causare infezioni al liquido stesso, determinando di conseguenza la rottura del sacco amniotico in cui è contenuto il bambino.

A spiegarlo Paolo Scollo Direttore del Dipartimento Materno Infantile e dell’U.O. di Ostetricia e Ginecologia dell’Azienda Ospedaliera Cannizzaro di Catania e Vice Presidente SIGO (Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia).

Il rischio di aborto associato all’amniocentesi non si collega, pertanto, all’atto del prelievo in sé, ma alla possibilità che, nei giorni successivi, il liquido amniotico possa imbattersi in infezioni.

Circa l’assunzione di antibiotico se nociva per il feto, l’esperto sottolinea che il principio attivo, si accumula prevalentemente nelle membrane amniotiche e da qui, non essendo in grado di superare la barriera della placenta (che è l’organo che dà nutrimento, sangue e ossigeno al bambino) arriva in pochissime quantità al feto, tali da non presentare controindicazioni alla profilassi.

Poi aggiunge che la già bassa quantità che arriva al feto, si dimezza in poche ore dall’assunzione.

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