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Uno tra i maggiori conflitti vissuti quotidianamente attiene alla macro-area della scelta: radicamento nel conosciuto, ancoraggio affidabile, cornice di riferimento contro desiderio di uscire da modelli familiari per incontrare imprevedibilità, mistero e rischio.

Come mai, quando ci si trova ad inseguire per una vita l’idea della stabilità, riferita ad una posizione lavorativa, relazione sentimentale, luogo dove abitare o stile di vita da raggiungere e mantenere, si avverte prima o poi quel desiderio di cambiamento, si ricerca quel brivido, quella brezza che torna tutto a vivificare, dando un senso all’idea di essere vivi?

La ricerca dell’obiettivo da raggiungere ha in sé la capacità di generare emozioni che stimolano il gioco dell’immaginazione. L’immaginazione è a servizio del desiderio e fa gettare lo sguardo al di là dell’orizzonte visibile, alimentando quelle speranze utili ad intraprendere una nuova sfida e riducendo i timori; ma se incrementa eccessivamente la costruzione di un ideale, con caratteristiche unicità e specialità, può anche far sognare ad occhi aperti, cioè astrarre dalla realtà, portando ad una visione distorta di situazioni e relazioni. È quindi facile scivolare, durante il percorso che porta al raggiungimento di un dato obiettivo, nell’illusione.

Il destino deludente del tanto enfatizzato amore romantico testimonia questo percorso che va dall’idealizzazione iniziale di un partner, al quale vengono attribuite qualità che si vorrebbero possedere o capacità di far fronte a bisogni che in realtà sono propri, allo scontro con ciò che c’è di reale: chi è realmente l’altro? Ed io? Cosa ci aspettiamo l’uno dall’altra? Perché?
In questo modo la costruzione della familiarità e della sicurezza rischia di basarsi non sulla reale reciproca conoscenza, ma sulla necessità reciproca di vedere nell’altro qualcosa che non c’è, ma del quale si ha bisogno.

L’amore, come ogni altra relazione, è dinamico e risente di molteplici variabili, dai miti familiari al soddisfacimento di bisogni personali, determinando una condizione che poco si presta alle categorie di stabilità, sicurezza e prevedibilità: è ambivalente di per sé, infatti la pratica del fantasticare la sessualità con un partner estraneo alla coppia è potente e permette di vivere la naturale instabilità della realtà e delle sue relazioni, alla quale si cerca di sottrarci.

Cercare di rendere il rapporto amoroso più sicuro, ad esempio con strategie atte a vincolare strettamente il legame come l’isolamento, il controllo, l’istituzionalizzazione forzata ecc. lo rende in realtà più pericoloso. D’altro canto in condizioni consolidate, dove appare una sicurezza totale, può generarsi un senso di soffocamento, di piattezza e insoddisfazione tale da attivare la ricerca concreta, e non più fantasticata, di nuove sfide.

Lo stesso dicasi per certe condizioni lavorative: se il cambiamento non è dettato da necessità oggettive, come un inappropriato clima aziendale, compenso o prospettiva di carriera, raggiunto un obiettivo e consolidatolo nel tempo è naturale l’emergere di una tendenza alla crescita. La ricerca di nuove responsabilità, di un nuovo riscontro sul mercato del lavoro, la curiosità di provare ad acquisire e gestire nuove capacità per imprese lavorative più grandi, cimentandosi con accresciuti tassi di rischio, vengono barattati con quella sicurezza iniziale.

Sembra così rivelarsi un’insita necessità di oscillare tra la stabilità e l’instabilità per poter mantenere la sensazione di essere vivi. Il cambiamento, la vulnerabilità e il rischio appaiono in questa ottica come inevitabili, ma altrettanto preziose.

Un possibile percorso psicologico, oltre a facilitare una migliore comprensione di ciò che realmente e autenticamente siamo/vogliamo, ci aiuta ad affrontare le paure legate alla naturale tendenza del non sentirsi mai appagati, restituendo una dimensione più tranquillizzante al perenne movimento interno che caratterizza l’essere umano.

Dott.ssa Zena Cavallaro
Psicologa con formazione specialistica in Psicoterapia Psicoanalitica
Roma

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