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La popolazione di Ercolano sarebbe a rischio di fluorosi scheletrica. Pare, infatti, che gli abitanti di questa antica città ne soffrissero già 2000 anni fa.

Oggi come allora sono presenti nei cittadini di Ercolano, dolori artritici, rigidità delle articolazioni e problemi alle ossa. A rivelarlo un’indagine multidisciplinare del Cnr e dell’università Federico II di Napoli, che è riuscita a dimostrare come questa patologia metabolica dell’osso e delle sue articolazioni sia endemica nell’area vesuviana.

All’origine della malattia che è invalidante, e che colpisce decine di milioni di persone prevalentemente in Africa, India e Cina, è l’alta concentrazione di fluoro presente nelle acque e nel suolo, tipica appunto delle aree vulcaniche.

Lo studio, è stato pubblicato sulla rivista “Plos one” (Public library of science), e tende a soffermarsi sulle caratteristiche delle vittime dell’eruzione del 79 d.C. analizzando 76 scheletri di età compresa fra 0 e i 52 anni.

Da un esame, che gli esperti hanno fatto sulle peculiarità morfologiche, radiologiche, istologiche, chimiche, scheletriche nonché dentarie è emerso appunto un aumento significativo della concentrazione di fluoro con l’età e un conseguente grado di lesione della colonna vertebrale e di altri distretti articolari.

Le analisi che sono state condotte sugli scheletri hanno rivelato tassi di fluoro da duemila a 11.300 ppm (parte per milione), indicativi per far capire quale sia stata la gravità di avvelenamento a cui gli abitanti furono sottoposti nel corso della loro vita.

Inoltre, si è scoperto che i valori di fluoro più alti, ovvero maggiori di 9.000 ppm, si osservano in adulti sopra i 40 anni: livelli che evidenziano una fase patologica molto grave e paralizzante, come quella che è presente nelle regioni in cui la fluorosi scheletrica è endemica.

Sempre grazie a questa indagine, emerge anche che l’80% dei bambini in età scolare soffre di fluorosi dentaria, dolori articolari, dermopatie, ipertiroidismo e presenta un contenuto di fluoro nel sangue superiore ai valori massimi raccomandati dall’Oms.

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