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Si riaprono le indagini sulla morte di Marco Pantani. La Procura di Rimini, a dieci anni di distanza dalla morte del campione, ipotizza un omicidio volontario.

Decisione arrivata grazie all’ostinazione della signora Tonina Pantani, mamma del ciclista, e che trova fondamento nelle indagini difensive condotte un anno fa, dall’avvocato Antonio De Rensis.

Il cui fascicolo è ora nelle mani del pm Elisa Milocco. Ebbene, secondo quanto emerge, ci sarebbero molte contraddizioni. E qualcosa nelle indagini fatte 10 anni fa, non sarebbe andata nel verso giusto.

Questo perché, interviste, inchieste giornalistiche e testimonianze hanno messo in fila una serie di particolari non tralasciabili, ma non considerate allora, e che solo adesso sono al vaglio della procura.

Pantani non sarebbe morto per overdose accidentale ma causata da terzi. Infatti dalla perizia medico legale eseguita per conto della famiglia dal professor Francesco Maria Avato emerge che: “Le ferite sul corpo di Marco Pantani non sono auto procurate, ma opera di terzi

Ferite compatibili con quelle di un pestaggio e che rileverebbero segni di trascinamento del corpo, oltre alla presenza di farmaci, e un’ingente quantitativo di droga nel corpo dell’uomo (sei volte superiore ad una dose letale, molta della quale, rimasta anche in bocca. Particolare che secondo il legale dei Pantani, farebbe ipotizzare un’ingestione forzata).

Ma non è tutto. Sì, perché, sul luogo del ritrovamento del cadavere, fu trovata anche una bottiglietta d’acqua sospetta, la cui colazione era ancora nello stomaco del ciclista. La camera di albergo troppo sottosopra, e il fatto che le indagini affermassero: “Nessuno è entrato e nessuno è uscito dalla stanza”, circostanza invece smentita, perché la nuova ricostruzione rivela che residence dove Pantani alloggiava aveva anche un altro ingresso che conduceva al garage. E dunque chiunque poteva entrare ed uscire dalla stanza senza essere notato, anche in virtù del fatto che non erano presenti telecamere di sorveglianza.

Dall’autopsia, inoltre, è emerso anche che i resti di cibo trovati nello stomaco di Pantani, sarebbero riferiti ad un pasto modesto, solo in parte digerito, che doveva aver mangiato a ridosso della morte, tra le 11.30 e le 12.30, forse la sua colazione. Solo che però, non l’aveva ordinata. E poi, nello stomaco del campione, anche i resti di un cornetto Algida, che per conservarsi avrebbe richiesto l’utilizzo di un freezer, di cui la stanza era invece sprovvista.

Ed ancora, resti di cibo cinese presenti in cestino della stanza, ma non consumati da Pantani e non ordinati da lui. E telefonate in cui il ciclista diceva di essere minacciato, ma che furono archiviate perché ritenute la conseguenza del delirio da droga.

Infine nella stanza di albergo di Pantani, furono ritrovati anche tre giacconi, di cui uno da sci. Giacconi che secondo ben quattro testimoni il Pirata non aveva portato con sé.

Tutti particolari importanti, ma che nelle indagini frettolose non sono emersi o non sono stati tenuti in considerazione. Tant’è che l’inchiesta è stata chiusa in soli 55 giorni, facendo emergere anche che nessuno si prese la briga di prendere le impronte digitali o di chiamare i Ris di Parma.

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