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Una cinquantenne di bologna concepirà un figlio che nascerà a distanza di quattro anni dalla morte del marito.

Lo ha deciso il tribunale del capoluogo emiliano che ha accolto il suo ricorso di farsi impiantare gli embrioni del marito, congelati 19 anni fa.

Il primo caso in Italia, esaminato a fondo dai giudici, che hanno deciso di ordinare al policlinico Sant’Orsola, dove la donna si era affidata, di provvedere immediatamente al trasferimento degli embrioni prodotti nel 1996.

La coppia, sposata dal 1998, si era rivolta due anni prima al centro di fecondazione assistita dell’ospedale.

All’epoca l’impianto non andò bene e gli otto embrioni vennero crioconservati.

Poi a causa di una malattia dell’uomo i due non provarono più ad avere figli, ma chiesero all’ospedale di conservarli fino al 2010, anno in cui la donna chiese di impiantare gli embrioni dopo la morte del marito.

Ma, purtroppo, nonostante il nulla osta del comitato di bioetica dell’università, la direzione del policlinico le negò la possibilità utilizzare gli embrioni, e si avvalse dell’interpretazione della legge 40 secondo cui entrambi i genitori dovevano essere viventi.

Da qui la donna iniziò una battaglia legale. Nel 2013 presentò il ricorso, rigettato dal tribunale. Poi avvenne che il suo reclamo venne accolto a dicembre 2014, anche se l’ultima dichiarazione del 2010 del marito non rappresenta un “valido consenso” costituisce comunque, secondo i giudici, “una manifestazione di volontà idonea ad escludere che gli embrioni siano in stato di abbandono”.

I giudici, tenendo conto dell’età della donna e la aleatorietà dei risultati hanno ritenuto opportuno che non si potessero più attendere gli esiti di un procedimento civile ordinario, accettando il ricorso della donna.

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