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Sarà Eva Green a impersonare Maria Callas nel biopic diretto dalla danese Susanne Bier (“Dopo il matrimonio”, “Noi due sconosciuti”): l’attrice francese, conosciuta principalmente per aver interpretato il personaggio di Isabelle nel film “The Dreamers”, di Bertolucci, e la Bond girl Vesper Lynd in “Agente 007 – Casino Royale” con Daniel Craig, è stata scelta per interpretare non più la classica femme fatale, ma un personaggio di ben diverso spessore psicologico.

La “Casta Diva”, infatti, non fu soltanto una delle più grandi cantanti drammatiche del Novecento (fino a essere elevata a vero e proprio mito vivente), ma fu anche una donna allo stesso tempo forte e vulnerabile, dalla vita intensa e costellata da grandi successi e profonde sofferenze.

Nata a New York il 2 dicembre 1923 da genitori di origini greche, Anna Maria Cecilia Sophia Kalogheròpoulos (in arte Maria Callas) fu avviata alla carriera musicale fin da bambina; dopo la separazione dei genitori (1937), seguì la madre in Grecia ed entrò nel Conservatorio di Atene, dove, tra l’altro, cantò nella sua prima opera completa (1939) e pose le basi per la sua futura carriera. Dopo una lunga serie di interpretazioni in Grecia e negli States, la Callas trovò la sua consacrazione definitiva in Italia, ottenendo un successo memorabile cantando nel ruolo di Elvira ne “I puritani” (1949) e riuscendo a entrare alla Scala, dove inaugurò trionfalmente la stagione lirica nel 1951 con “I vespri siciliani”. Gli anni tra il 1951 e il 1957 furono i più ricchi di successi per la Callas, che interpretò le più grandi figure femminili della lirica: da Norma a Lucia di Lammermoor, a Anna Bolena a Medea. Proprio in questo periodo, però, si verificarono anche eventi destinati a segnare la sua vita e la sua immagine: nel 1954 riuscì, grazie ad una cura, a perdere ben trenta chili e a liberarsi da un problema, quello dell’eccesso di peso, che l’aveva accompagnata fin da piccola, in quanto dovuto a una disfunzione ghiandolare. Parallelamente, si verificò una vera e propria “trasformazione” della sua immagine, la cui cura fu affidata alla stilista italiana Biki; fra le due, ben presto, s’instaurò un profondo sodalizio, teso a forgiare una figura fatta di ricercatezza ed eleganza. Ma la vita della “Divina” non era fatta solo di successi sfolgoranti: quasi tutte le sue interpretazioni suscitarono reazioni contrastanti nel pubblico e nella critica e ogni serata era accompagnata da una mescolanza di applausi e fischi di dissenso. Anche nella vita sentimentale la Callas dovette affrontare numerose delusioni e sofferenze: il divorzio dal marito Giovanni Battista Meneghini, la relazione con l’armatore Aristotele Onassis, dal quale ebbe un figlio, Omero, che però morì appena nato per un’insufficienza respiratoria. Infine, l’abbandono di Onassis per la vedova di John Kennedy, Jacqueline, costituì la più grande delusione per la “Casta Diva”: al logoramento delle condizioni vocali per il superlavoro, alle tensioni psicologiche e al peggioramento delle sue già precarie condizioni di salute, si aggiunse, quindi, un lungo periodo di depressione, senza contare che anche la sua carriera era entrata da qualche anno in una fase critica.

È proprio quest’aspetto problematico e intimo della vita di Maria Callas che Susanne Bier vuole tentare di trasporre sul grande schermo; il film, ancora in fase pre produttiva, non è comunque il primo dedicato alla figura della “Divina”: si ricordano, infatti, “E la nave va” (1983), di Federico Fellini, “Callas Forever” (2002), di Franco Zeffirelli e la miniserie televisiva “Callas e Onassis” (2005), di Giorgio Capitani.

di Chiara Gazzini

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