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Il tumore alle ovaie, rappresenta il sesto cancro femminile più diffuso al mondo, nonché una delle più comuni cause di morte per neoplasie ginecologiche.

Per uscirne vive, il tempo sarebbe cruciale sia per la diagnosi che per il corretto trattamento farmacologico. Così, durante un convegno che si è tenuto ieri a Milano, è emerso che ogni anno nel nostro Paese, sono 4.500 le donne che vengono colpite da questo male. Di queste poi, almeno 3mila non ce la fanno.

L’alta mortalità, sarebbe dovuta al fatto che 8 volte su 10 la diagnosi arriva troppo tardi. A quel punto la speranza di sopravvivere e solo del 30%.
Nonostante, si possa intervenire chirurgicamente, questo tumore si ripresenta poi nell’80% dei casi.

Il tumore dell’ovaio insorge maggiormente dopo la menopausa, non mostra dei sintomi o spesso questi sono troppo generici e simili a disturbi gastrointestinali come: stitichezza, gonfiore addominale, difficoltà digestive, nausea, ecc.

A tal fine, Marco Venturini, presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica, AIOM, sta affrontando due grandi sfide: la prima è quella di una diagnosi precoce e la seconda di una prevenzione delle recidive. Secondo l’esperto, è inoltre, importante una gestione della malattia condivisa fra oncologo e ginecologo, cosa che attualmente è quasi inesistente.

Il presidente della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia, SIGO, Nicola Surico dal canto suo, sottolinea che “Non esistono purtroppo screening efficaci, ma si può insistere sui fattori di rischio, quali il fumo e il sovrappeso e spiegare alle pazienti chi deve prestare particolare attenzione. Allerta dunque per chi non ha figli, chi ha avuto un menarca precoce e una menopausa tardiva. Si sottovaluta inoltre il peso della familiarità: chi ha una madre, una sorella o una figlia affetta da carcinoma ovarico deve sottoporsi ad un attento monitoraggio”.

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