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Lo stress causato dal super lavoro deve essere risarcito. A stabilirlo è la Cassazione. Il danno va dunque riconosciuto al lavoratore anche se non lo ha rivendicato nel corso del rapporto di lavoro e anche se, viene espulso dal posto di lavoro.

La Cassazione (sezione Lavoro, sentenza 18211) spiega che “in base al principio della ‘ragionevolezza’, l’orario di lavoro deve rispettare i limiti della tutela del diritto alla salute”.

Infatti, la Suprema Corte ha stabilito il risarcimento del danno biologico pari a 25 mila euro per un ex portiere di notte che aveva lavorato presso una società a Roma, dal settembre 1974 al marzo 1997, riportando conseguentemente una sindrome nevrotico ansiosa causata appunto da stress lavorativo.

La sentenza redatta da Umberto Berrino, il portiere, che per molti anni avendo garantito l’assistenza ai clienti, occupandosi anche della cura dei valori riposti in cassaforte, aveva accusato una condizione di stress da super lavoro (facendo un orario di lavoro che andava dalle 21 alle 9 del mattino successivo).

Da qui è partita la sua richiesta di essere spostato ad un turno diurno, ma la società lo aveva invece licenziato, asserendo che ci fossero già altri due portieri per il turno di giorno.

Davanti al giudice era stata stabilita la legittimità del licenziamento ma la società era stata condannata a risarcire comunque l’ex portiere con 25 mila euro per avergli causato una sindrome ansioso-depressiva.

Inoltre, la Corte d’appello di Roma, nel marzo 2008, aveva riconosciuto al lavoratore anche un’altra somma pari a 1292 euro a titolo di differenze retributive.

Contro la condanna al risarcimento per stress lavorativo, la società ha presentato ricorso in Cassazione, ma il ricorso è stato bocciato facendo osservare “il principio di ‘ragionevolezza‘ in base al quale l’orario di lavoro deve rispettare sempre i limiti della tutela del diritto alla salute.

Il super lavoro è stato ritenuto pertanto, “concausa della sindrome nevrotica ansiosa” del lavoratore.