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Yara Gambirasio: il gip respinge l’istanza di scarcerazione, Bossetti quel giorno non era a lavoro

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Un nuovo indizio emerge dalle indagini, condotte dagli inquirenti sul caso Yara Gambirasio.

Il giorno della scomparsa della ragazza, Massimo Bossetti, unico indagato ed in carcere da giugno, non era andato a lavoro.

Pochi minuti prima che la tredicenne fosse portata via, il furgone dell’uomo girava intorno alla palestra dove la giovane era andata a restituire all’insegnante uno stereo.

Circostanza, che emerge anche dalle telefonate fatte dal Bossetti, dalle celle telefoniche e dalle testimonianze di alcuni colleghi.

Eppure il muratore di Mapello aveva dichiarato agli inquirenti che il 26 novembre del 2010 era passato fuori alla palestra, “perché di ritorno dal cantiere di Palazzago“.

Quel giorno, raccontava Bossetti, “sono andato al lavoro e la sera sono rimasto a casa con mia moglie e i miei figli. Faccio sempre le stesse cose, sono un abitudinario”.

Ma i fatti smentirebbero la sua versione. Bossetti il giorno dell’assassinio di Yara non era al cantiere.

I controlli eseguiti subito dopo la sparizione della ragazza consentono di affermare che le sue tracce si perdono alle 18,49 quando riceve un sms da una sua amica al quale non risponde.

In quel momento, il suo cellulare aggancia la stessa cella agganciata dal telefonino di Bossetti circa un’ora prima, esattamente alle 17,45. Le verifiche stabiliscono che il muratore, parlava al telefono con il cognato.

Circostanza, per la quale, Bossetti afferma di averlo fatto mentre stava tornando a casa. Ma i filmati, registrati da più postazioni, smentiscono la sua versione.

Mercoledì scorso, i legali del presunto assassino di Yara, hanno chiesto la scarcerazione ed un nuovo prelievo del Dna, in presenza delle parti.

Ma il giudice per le indagini preliminari di Bergamo ha respinto l‘istanza. Il gip di Bergamo, Ezia Maccora, l’ha dichiarata inammissibile perché gli avvocati non hanno inviato la notifica della richiesta alla parte offesa come previsto dal codice penale.

Un vizio di procedura, che rinvia la possibilità per Bossetti di uscire dal carcere. I legali del muratore di Mapello, dovranno, dunque presentare una nuova domanda di scarcerazione notificandola alla controparte, nei due giorni successivi, presentando memoria difensiva.

Gli avvocati avevano chiesto che l’analisi del Dna fosse acquisita in presenza di tutte le parti. Bossetti fu fermato dopo il risultato positivo del test del Dna. Il prelievo della saliva fu fatto simulando un controllo con l’etilometro. Ci dovrebbe essere, quindi, un nuovo esame sugli indumenti della vittima, già svolto nel 2011.

Richiesta che potrebbe essere respinta perché, all’epoca del test, non c’era ancora alcun indagato e quindi era impossibile svolgere la perizia in presenza degli avvocati della controparte.

Le analisi sui vestiti della vittima rappresentano inoltre, una prova più concreta da parte dell’accusa. E non dimentichiamoci che gli investigatori sono arrivati a Bossetti, seguendo una pista genetica che ha portato al padre dell’imputato, Giuseppe Guerinoni, e alla madre, Ester Arzuffi.

I legali del presunto assassino di Yara, non chiederanno dunque un’ulteriore comparazione tra il Dna trovato sulla vittima e quello del muratore, perché quattro diversi laboratori ne hanno stabilito l’identità, e dunque faranno richiesta solo di un nuovo prelievo.

Inoltre, nella richiesta di scarcerazione presentata al gip non si faceva riferimento alle testimonianze emerse dopo l’arresto, come del resto neppure ai risultati degli accertamenti emersi sui diversi computer di Bossetti che portavano alla scoperta della digitazione delle seguenti parole “sesso” e “tredicenne” (ricordiamo che Yara aveva 13 anni), per i quali i due legali dell’uomo dovranno dare una giustificazione.

circostanza, già contestata in un interrogatorio fatto a Bossetti il quale aveva spiegato di non essere stato lui a digitarle, mentre la moglie, di fronte a tale domanda aveva preferito non rispondere.

Gli avvocati del muratore di Mapello, si sono solo limitati a motivare il fatto, che il materiale edile, e la polvere di calce, trovata sul corpo della ragazza, non rappresenta per loro un grave indizio, in quanto, buona parte degli abitanti di Mapello e Brembate lavora proprio nel settore dell’edilizia.

Infine, sono dell’idea che di poter spiegare perché il cellulare dell’uomo abbia agganciato quel pomeriggio, la stessa cella di Yara. Ovvero, sostengono, che l’uomo lavorando a Palazzago, era solito passare proprio davanti alla palestra.

Ma giacché le indagini hanno portato alla scoperta che Bossetti quel giorno a lavoro non c’è stato, bisognerà ora attendere, la loro giustificazione.

Giovanna Manna

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