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Jovanotti sale in cattedra e incontra gli studenti della Federico II di Napoli, nell’aula Coviello del dipartimento di Giurisprudenza, alla vigilia del tour negli stadi che lo porterà poi, nel capoluogo campano il prossimo 26 luglio.

Cappellino scuro, camicia a fantasia, tipicamente estiva, viene introdotto in aula dal rettore Gaetano Manfredi.

Che bello essere a Napoli, nella culla della cultura napoletana, in una delle università più antiche d’Italia“.

In prima fila, ci sono: Arturo De Vivo (pro rettore), Enrica Amaturo (direttrice del dipartimento di Scienze sociali), l’assessore comunale alle politiche giovanili Alessandra Clemente.

L’aula è gremita di studenti e addetti stampa. Il seminario “I linguaggi della creatività. Conversazione con Jovanotti” viene moderato dal professore Lello Savonardo, docente di Comunicazione e Culture giovanili, e si articola su parole chiave.

“La creatività è una parola abusata, che guardo con sospetto e non mi fa impazzire. Preferisco la parola invenzione: perché l’universo è stato già creato, noi in fondo possiamo solo riassemblare le cose e comporre un altro universo”.

Durante il dibattito Lorenzo si sofferma anche sulle polemiche nate dopo le sue dichiarazioni fatte all’Università di Firenze, dove si è detto favorevole al lavoro non retribuito.

Non credevo di sollevare un tale polverone. Mi è capitato di lavorare, da ragazzino in feste di paese e, per due estati, alla radio, che per me resta il primo amore. Non sono mai stato pagato. Ma non considero quella mia attività come lavoro vero e proprio, quanto più divertimento. Cambia tutto, dunque, quando si intraprende poi una professione. Guai a non far valere i propri diritti e a non essere pagati per la propria professionalità”.

E a chi chiede anticipazioni sul concerto al San Paolo, riaperto alla musica dopo 10 anni, risponde: “Sono davvero felice di tornare a suonare lì il 26 luglio. L’ultima volta è stato con Pino Daniele, assieme a Raiz degli Almamegretta”.

Ho visto Pino la prima volta in concerto da ragazzino. Era un periodo in cui ero fortemente esterofilo: ascoltavo il punk, il rock, adoravo il sound di Stevie Wonder. Pino era l’unico a darmi un respiro internazionale con la sua musica. Le sue canzoni sono tutte attualissime. Prendete “Tutta n’ata storia”, sembra scritta l’altro ieri”.Ho imparato moltissimo da Pino, mi ha insegnato anche a comporre e suonare meglio. Aveva un brutto carattere, certo, ma era un uomo di cuore, un grande maestro, indimenticabile. Sicuramente gli dedicherò qualcosa al San Paolo, lo stadio della sua città, dove ho suonato per la prima volta proprio grazie a lui”.

Dal parterre un ragazzo gli porge un biglietto originale del concerto “Daniele, Ramazzotti, Jovanotti” e lui sorpreso lo accetta con piacere.

Alla domanda: “Le tue canzoni ci danno sempre grandi speranze, ci danno una carica di allegria. Ma in questa Italia in crisi, cosa diresti a noi studenti? Di restare qui, o di lasciare tutto per investire nel futuro altrove?” – risponde – “Vi auguro di restare in Italia, se potete. Costruire qui le vostre professionalità, migliorare il vostro Paese. Ma è innegabile che la speranza, parola per me sacra, vi sorride dall’estero,dove, come ho avuto modo di osservare con i miei occhi, i laureati italiani sono tenuti in alta considerazione”.

Le domande poi proseguono anche tra i giornalisti, ma di politica preferisce non parlare.

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