Colesterolo alto: 250.000 italiani non sanno che è di natura familiare

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Sarebbero circa 250.000 gli italiani il cui colesterolo alto non dipende da una cattiva alimentazione o da uno stile di vita errato, ma bensì da un problema legato alla familiarità.

Solo nell’1% dei casi la diagnosi sarebbe corretta, percentuale questa che arriverebbe anche al 43% in Olanda e al 71% in Norvegia.

E’ quanto viene denunciato da Cittadinanzattiva, nell’Indagine civica condotta e presentata ieri durante un convegno che si è tenuto a Roma.

Dagli oltre 1300 questionari somministrati dagli esperti, emergerebbe infatti che meno della metà degli intervistati (45%) sarebbe a conoscenza di soffrire di ipercolesterolemia familiare, ovvero di una elevata concentrazione di colesterolo nel sangue, e poco più di un terzo saprebbe che tale patologia è di origine familiare.

Inoltre, uno su 10 dichiarerebbe di aver avuto il primo sospetto dopo aver letto informazioni in rete o su giornali, il 40% aver di averlo scoperto perché in famiglia ce già una persona che ne soffre, il 29,4% lo ha scoperto dopo una diagnosi fatta dal medico di famiglia mentre solo l’1,5% ha ricevuto una diagnosi in età infantile grazie al pediatra di famiglia.

L’indagine, realizzata con il contributo di Sanofi, che denuncia anche i problemi legati alla cura: oltre un paziente su 3 ha difficoltà ad individuare uno specialista. Il 23% che ha ricevuto la diagnosi resta poi senza terapia.

Altro problema emergerebbe anche nel caso in cui i pazienti siano bambini: il 12,9% dei genitori rivela infatti che l’esenzione non riesce a coprire tutte le prestazioni di cui il piccolo necessita.

Pertanto non tutti i genitori sono nelle condizioni economiche di permettersi tutte le cure. Così, un genitore su cinque è costretto a rinunciare ad esami o visite.

Tra le proposte mosse da Cittadinanzattiva, c’è proprio quella di “promuovere informazione e formazione rivolte ai professionisti ed alla popolazione, per arrivare ad una diagnosi precoce” e “costruire un Percorso Diagnostico-terapeutico che garantisca diagnosi precoce e continuità assistenziale”.

Giovanna Manna

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