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Grottaferrata, Eugenio Litta, ecco cosa accadeva a disabili di 8 – 20 anni. Regione parte civile

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Una vera e propria casa degli orrori per disabili alle porte di Roma a Grottaferrata. «Brutto zozzo», «Te stacco la capoccia», «Poi te lamenti che te pijo a schiaffi», e giù di botte, strattoni. Educatori che colpivano alla testa un epilettica di 10 anni con il manico della scopa o lasciavano il paziente nudo nel corridoio, o gli tenevano ferme le braccia mentre lo imboccavano a forza.

Questo il triste quadro emerso agli investigatori ed inquirenti che ieri mattina all’alba ha spinto i carabinieri del Nas, assieme ai colleghi del Gruppo Frascati, ad arrestare dieci dipendenti del Centro neuroriabilitativo “Eugenio Litta”. Struttura appartenente ai religiosi camilliani accreditata dal Sistema sanitario nazionale (la Regione Lazio si costituirà parte civile): 400 degenti, 160 dipendenti, 7 reparti, più ambulatorio.

Le misure cautelari sono state richieste dal pm della Procura di Velletri Antonio Verdi e concesse dal giudice per le indagini preliminari Gisberto Muscolo.

I dieci dipendenti sono accusati tutti di maltrattamenti e sequestro di persona (da gennaio a ottobre 2015) ai danni di disagiati psichici di età compresa tra gli otto e i 20 anni (cinque minori di 14 anni), ospiti della struttura giorno e notte.

Un operatore è in carcere, gli altri sono ai domiciliari. Sei sono donne. Tutti residenti ai Castelli Romani. Solo uno di loro, Carullo Cosimo, in carcere, risulta essere domiciliato a Roma. Gli altri sono Andrea Cacciotti (Ardea), Mariannunziata Asci (Ciampino), Rina Piersimoni (Frascati), Maria Grazia De Paolis (Marino), Roberto Monforte (Marino), Elena Ponzo (Grottaferrata), Simona Mecozzi (Marino), Alessandra Massimi (Frascati) e Daniele Corsi (Marino).

Indagati anche altri cinque addetti. Le indagini non terminano qui. Vanno indietro negli anni a partire dal 2012 periodo in cui è cambiata la dirigenza.

Il direttore generale del Centro (Michele Bellomo), il responsabile sanitario (Fabio Stirpe) ed una suora avevano notato che qualcosa di strano si presentava nel comportamento degli degenti, segnalato anche da diversi genitori (riuniti nell’associazione Famiglie disabili “Eugenio Litta”). Reazioni aggressive, di difesa, diverse dai soliti comportamenti, ecchimosi e lividi sul corpo spiegati dal personale della struttura con una presunta caduta.

La prima denuncia (con allegate cartelle cliniche) è partita da parte di Bellomo, il 29 luglio 2014. «Aveva constatato il verificarsi di episodi che avevano visto coinvolti i pazienti e che lo avevano condotto ad elevare delle contestazioni disciplinari ad alcuni dipendenti», recita l’ordinanza.

Il 19 febbraio del 2015 una religiosa rimproverava «gli assistenti del reparto A4 – riferiscono le carte – ed in particolare il Carullo Cosimo, perché alimentavano i ragazzi in modo troppo rapido, facendo perdere loro le autonomie acquisite».

Ventiquattr’ore dopo una seconda nota, stavolta da parte del direttore sanitario Stirpe, che «evidenzia a sua volta – è scritto nell’ordinanza – alcuni episodi ritenuti meritevoli di attenzione da parte dell’autorità giudiziaria».

La notte del 23 ottobre 2015 i Nas entrano in azione. Fanno irruzione nel Centro e arrestano Cosimo Carullo, perché «in orario serale li chiudeva (i pazienti, ndr) a chiave all’interno delle loro stanze ovvero collocava un materasso a ridosso della porta d’ingresso delle stanze stesse in modo tale da impedire ai medesimi pazienti, affetti da patologie psichiatriche tali da inficiarne gravemente le abilità manuali, di rimuoverlo e uscire».

Tre giorni partono le indagini.

Il Presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, si fa portavoce dell’indignazione delle istituzioni.

“La Regione Lazio si costituirà parte civile contro questi atti disumani” – annuncia in un tweet il presidente – “penso che sia giusto, come propone il ministro Lorenzin, approvare una legge che inasprisca le pene per chi si macchia di questi reati”. ”I crimini contro i più deboli sono i più odiosi – continua Zingaretti – perché compiuti contro persone che non si possono difendere. L’unico argine contro questi atteggiamenti è una forte azione di vigilanza e l’attenzione delle istituzioni e delle forze dell’ordine nel segnalare e reprimere condotte odiose”.

Giovanna Manna

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