Il suo metodo lo ha spiegato il 12 febbraio scorso, durante il volo che lo portava dall’Avana a Città del Messico, subito dopo lo storico incontro nella con il patriarca Kirill, primo abbraccio della storia tra un capo della Chiesa di Roma e uno della Chiesa ortodossa russa.
“L’unità si fa camminando – questa è una delle principali massime di Papa Francesco. Che ricordò al gruppo dei giornalisti al seguito -. Una volta io ho detto che se l’unità si fa nello studio, studiando la teologia e il resto, forse verrà il Signore e ancora noi staremo facendo l’unità. L’unità si fa camminando, camminando: che almeno il Signore, quando verrà, ci trovi camminando”.
Per il santo padre sono già trascorsi i primi tre anni di pontificato. Ma in questi anni ne ha davvero fatte tante di cose. Portando a casa risultati mai raggiunti dai suoi predecessori. Come l’epocale riavvicinamento col Patriarcato di Mosca e di tutte le Russie.
E ancora, l’incontro personale, la manifestazione concreta di vicinanza col gesto dell’abbraccio e della stretta di mano, la conversazione amichevole a tu per tu con l’interlocutore: i segni di un ponte che viene gettato, di una distanza che viene colmata.
“Io mi sono sentito davanti a un fratello, e anche lui mi ha detto lo stesso – riferì del colloquio con Kirill -. Due vescovi che parlano della situazione delle loro Chiese, per prima cosa; e in secondo luogo, sulla situazione del mondo, delle guerre, guerre che adesso rischiano di non essere tanto ‘a pezzi’, ma che coinvolgono tutto; e della situazione dell’Ortodossia, del prossimo Sinodo panortodosso…”.
E come non ricordare che è il primo pontefice ad essersi recato in un tempio valdese? Il primo in una comunità pentecostale, dove in entrambe le situazioni ha chiesto “perdono” per le passate persecuzioni. E ancora, a novembre farà un viaggio in Svezia per celebrare i 500 anni della riforma di Lutero, in campo interreligioso ha ricucito il doloroso strappo con l’università di Al-Azhar dopo il discorso ratzingeriano di Ratisbona, e sarà anche il primo Papa alla Grande Moschea di Roma, la maggiore dell’Occidente. In campo politico solo quest’ultimo anno, oltre al disgelo promosso tra Usa e Cuba e ora anche incentrato sulla pacificazione in Colombia, ha visto i suoi grandi discorsi al Congresso a Washington e all’Onu a New York.
In campo sociale parla spesso di “terza guerra mondiale a pezzi”. E come dargli torto? Ha posto l’accento sull’emergenza globale delle migrazioni e contro la “cultura dello scarto”, ha lanciato un allarme sui mutamenti climatici con la sua enciclica Laudato si’, divenuta uno dei testi-guida per l’intera comunità internazionale.
Papa Francesco è attualmente il leader mondiale più importante per credibilità e autorevolezza.
Nel suo Anno Santo ha distillato l'”imprinting” di una Chiesa votata come non mai all’etica della misericordia: una Chiesa la cui missione principale è quella di aiutare i bisognosi, gli esclusi, gli emarginati (tante le testimonianze da parte del papa), il cui atteggiamento di comprensione, accoglienza e dialogo è stato manifestato in tutte le questioni che riguardano l’attualità globale, i rapporti tra i popoli, la necessità di porre fine ai conflitti, il riscatto dei sofferenti, il sollievo per chi fugge dalle guerre, dalla fame, dalle privazioni, dalla desertificazione.
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