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fortuna loffredo
Ci sono voluti due anni per spezzare il muro di omertà e copertura e arrivare a mandare in carcere Raimondo Caputo, 44 anni, compagno della madre di una delle amichette di “Chicca”, violentatore abituale di minori, comprese le figlie avute da questa donna e quella che la sua compagna aveva già. Tutte in tenera età. Titò, questo il soprannome dell’uomo, era già indicato dagli abitanti del rione poche settimane dopo la morte di Fortuna come colpevole dell’omicidio.

“Tutti quanti stanno dando la colpa a Titò” – sentono i militari dell’arma il 2 agosto 2014, neanche due mesi dopo quella morte, intercettando le conversazioni in un appartamento contiguo a quello dei Loffredo “vuoi sapere la verità? E’ stato proprio lui”. Chi parla sostiene di aver raccolto le confidenze di un’altra bambina, anche lei compagna di gioco di una delle vittime dell’orco, una bambina il cui racconto, così come quello delle sorelle, raccolto dopo il 24 settembre dello scorso anno, ha contribuito a costruire il puzzle degli elementi mancanti.

Dodici, sei, quattro anni, questa l’età delle piccole abusate dall’uomo. Il terribile sospetto che questi abusi possono essere collegati anche alla morte di un altro figlio della sua compagna, un bimbo di tre anni, precipitato giù dalla finestra un anno prima della piccola Fortuna Loffredo.

Le intercettazioni avevano già fatto arrestare un’altra coppia di residenti della stessa palazzina degli orrori, Salvatore Mucci e la moglie Maria, per le violenze subite dalla figlia minorenne di questi, nel dicembre del 2014.

Poi il 24 settembre 2015, la prima incriminazione per Caputo, che finisce in carcere, insieme alla compagna Marianna ai domiciliari, e descritta dagli inquirenti come una madre “assente” che viene messa a conoscenza dalle figlie degli abusi dell’uomo, ma non fa nulla, a volte è anche presente in casa.

Contro la donna è stato aperto un procedimento per omicidio colposo per la morte del piccolo Antonio, caduto dall’ottavo piano il 27 aprile 2013. E proprio dopo la morte del bambino che viene segnalata ai servizi sociali la situazione delle minorenni. Sono i carabinieri a rilevare in un’ampia e dettagliata relazione che i comportamenti delle bambine, in particolare di una, la più grande, in netto contrasto con quanto indicano i disegni delle piccole e poi le intercettazioni ambientali e telefoniche. Caputo eliminerà anche più volte le microspie a casa sua e della madre della compagna.

Ma i suoi tentativi e quelli della nonna sono vani. Già dalle prime fasi dell’indagine l’amichetta di Fortuna racconta che la piccola era venuta a giocare a casa sua. Madre e convivente cercano in tutti i modi di farle capire che non deve raccontare quello che è accaduto quel giorno; e più volte la bimba parla anche con la nonna di un “segreto”.

Le tre bambine vittime dell’orco da settembre dell’anno scorso in poi, assistite dagli psicologi e dagli assistenti sociali, racconteranno a modo loro e con i linguaggi che padroneggiano gli abusi e le violenze subite e parleranno anche di quelle patite dalla piccola Chicca, quasi quotidiani, nel camion dell’uomo o nell’appartamento in cui vivono, in quello di parenti.

Le bambine sanno che Fortuna a un certo punto non voleva più, e che è morta proprio per questo. “Sono felice ora – dirà a marzo scorso una di loro agli inquirenti, dopo aver ricostruito tutto – non voglio andare con un’altra famiglia. Lui deve pagare per quello che ha fatto”.

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