Martina F., 25 anni, studentessa dell’Accademia delle Belle arti di Brera e fotografa, mercoledì sera è stata respinta dai buttafuori dell’Old Fashion a causa del «kit di sopravvivenza» da cui non poteva separarsi.
Per ragioni di sicurezza, liquidi e bustine nel locale non sono consentiti. Ma lei, malata di diabete mellito di tipo 1, deve avere lo zucchero sempre con sé, immediatamente disponibile per i casi di bisogno.
«Quando vai in ipoglicemia, anche solo per una emozione o un piccolo errore di calcolo, il cervello va d’improvviso in blackout. Non riesci a parlare, e a camminare, stai male. Hai la tachicardia, il corpo ti si svuota. Rischi di svenire e avere le convulsioni, devi intervenire subito, rialzare i livelli di glucosio in pochi secondi», racconta la ragazza. Ai buttafuori ha mostrato il tesserino medico. Non c’è stato nulla da fare: «Al bar ti danno quanto zucchero e succo vuoi», le hanno risposto.
L’intero gruppo dei suoi amici a quel punto ha deciso di non entrare più, se ne sono andati tutti a casa, facendo saltare la festa di laurea.
Il giorno dopo Martina si è sfogata sul portalediabete.org raccontando la sua triste avventura.
In poche ore la notizia è rimbalza sulle agenzie, le recensioni dell’Old Fashion su TripAdvisor e Google. Il professor Lorenzo Piemonti, esperto in diabete, affida a Facebook parole di pieno appoggio alla studentessa: «Queste persone in ogni istante devono essere attrezzate. Un piccolo ritardo può essere fatale». E Gianni Lamenza, presidente di Diabete Italia, dice «C’è troppa ignoranza».
Il proprietario del locale Roberto Cominardi prima si difende («Come sugli aerei, non possiamo far entrare liquidi o polveri che possano contenere sostanze fuori controllo») ma poi, in serata, fa arrivare alla studentessa le scuse, in forma privata. «Tardive ma apprezzate — sostiene Martina —. È stata una discriminazione e un’offesa per me e per tutti i diabetici, mi sono sentita mortificata».
«Non c’è cura, solo terapia. È stato l’inizio di una vita nuova dove sono il medico di me stessa, mai più spensierata. Dipendente sempre da penne di insulina, carboidrati misurati ad ogni pasto e bustine di zucchero — racconta —. Dieci buchi alle dita ogni giorno con la “penna” per misurare la glicemia, altrettante siringhe di insulina. Di notte per controllare il livello di glucosio mi sveglio ogni tre ore. E come me tantissimi altri. Siamo 250 mila in Italia».
Bisogna trovare un compromesso tra sicurezza e rispetto delle necessità di salute, continua, la ragazza.
E a che le chiede, tornerai in quella discoteca? Martina risponde: «Ho l’età e la forza per farlo. Certo che sì. Ma che questa storia serva d’esempio a tutti».