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Vitamina d in gravidanza, gli effetti positivi sul nascituro

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Secondo quanto emerge da uno studio condotto dai membri del The Hospital for Sick Children a Toronto, non esistono prove sufficienti per dire alle mamme di non assumere vitamina D durante la gravidanza.

Numerosi studi sostengono che l’assunzione di integratori di vitamina D può aiutare a proteggere da malattie cardiache, cancro, infezioni respiratorie e asma, nonché da condizioni legate alla gravidanza, come nel caso della preeclampsia e il diabete gestazionale, ma i risultati – come spiegano gli esperti sulle pagine del BMJ – sono contrastanti e le raccomandazioni variano ampiamente tra le organizzazioni mediche e professionali.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità non consiglierebbe infatti alle donne sane di assumere supplementi di vitamina D durante la gravidanza. Per questo motivo gli esperti hanno esaminato 43 studi randomizzati che hanno coinvolto 8.406 donne, per stimare gli effetti dell’assunzione di di vitamina D durante la gravidanza.

Ebbene, esaminando i dati sarebbe emerso che l’assunzione di integratori durante la gravidanza ha aumentato i livelli di vitamina D sia nel flusso sanguigno della madre che in quello del cordone ombelicale, ma non sarebbe invece emerso che dosi più massicce di integratori di vitamina D favorirebbero la nascita di bambini più sani, né che migliorerebbero la salute della mamma.

Una carenza di vitamina D durante la gravidanza può essere causa di rachitismo nei bambini (malattia dello scheletro che comporta fragilità ossea e può portare a fratture e deformazioni), con conseguente arresto della crescita, e di osteomalacia (una forte forma di decalcificazione ossea) negli adulti.

La normale esposizione solare è in genere sufficiente a coprire il fabbisogno di questa vitamina negli adulti: basta esporre almeno le braccia per 10-40 minuti al giorno, in relazione anche alla stagione e alla colorazione della pelle, evitando, d’estate, le ore centrali in cui il picco di raggi ultravioletti aumenta il rischio di cancro della pelle.

Con l’alimentazione, invece, si introducono livelli bassi di vitamina D, anche perché le fonti alimentari sono relativamente poche come l’olio di fegato di merluzzo (che è l’alimento più ricco), i pesci grassi (come salmone o sgombro), il tuorlo d’uovo, alcuni formaggi (che però ne contengono livelli non elevati).

Giovanna Manna

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