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Il piccolo Federico morì all’ospedale di Chieti, sei giorni dopo il parto, per un’infezione che lo portò subito alla morte. Ora sua madre chiede alla Asl un risarcimento danni di oltre due milioni di euro. La donna, L.C., che ha ora 52enne, si è rivolta all’avvocato Monica D’Amico e ha citato l’azienda sanitaria locale davanti al tribunale civile di Chieti per chiedere che venga «accertata la responsabilità della struttura ospedaliera nonché quella professionale di tutti i sanitari che ebbero in cura il neonato». Accuse respinte dalla Asl. La prima udienza è stata fissata dal giudice Francesco Turco per il mese di luglio.

Dopo il parto, avvenuto il 26 luglio del 2005, le condizioni di salute del piccolo Federico, nato con un parto cesareo nella clinica ostetrico-ginecologica del Santissima Annunziata, furono definite dai medici «medio-discrete». Per questo motivo gli fu inserito un catetere ombelicale. Il piccolo Federico, nato all’ottavo mese di gravidanza e pesava due chili e 580 grammi. Fu ricoverato in incubatrice nel reparto di terapia intensiva neonatale e la situazione degenero’ nella tarda serata del 29 luglio, fino al decesso avvenuto il primo agosto. La causa della morte fu accertata: «Sindrome da insufficienza multiorgano del neonato per sepsi neonatale precoce fulminante da batterio Escherichia coli».

I genitori presentarono subito denuncia, ma l’inchiesta penale fu archiviata dopo una perizia fatta dal medico legale, secondo la quale non ci furono responsabilità da parte del personale sanitario, dove era avvenuto il parto.

Ora a quasi dieci anni di distanza, la madre, L.C. ha iniziato una battaglia legale contro l’asl, rivolgersi al medico legale Giorgio Bolino. Dalla «cartella clinica della madre – scrive l’esperto nella sua consulenza legale di parte – non presenta alcun segno di infezione, il che conferma che la donna non può in alcun modo essere considerata veicolo del contagio, tenuto anche conto che il parto avveniva mediante taglio cesareo». E ancora: «La sepsi in questione è correlabile al posizionamento del catetere ombelicale e alla contaminazione a opera del personale sanitario, dal momento che la madre è risultata completamente immune da processi infettivi». Il professor Bolino arriva dunque a questa conclusione: «Si tratta di una tipica infezione nosocomiale contratta durante il ricovero in ospedale, i cui sintomi si manifestano oltre le 48 ore dopo il ricovero. In proposito è da chiamare in causa la responsabilità della struttura sanitaria». Nel 2015 la donna ha messo in mora la Asl, chiedendo il risarcimento dei danni. Tentativo andato a vuoto così come la procedura di mediazione. Il resto è storia recente: la Asl dovrà difendersi da una richiesta di risarcimento danni da 2.103.252 euro.

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