Un bimbo di 20 mesi nato con una gravissima malattia, l’atresia delle vie biliari, che era già stato operato a pochi giorni dalla nascita è vivo grazie ad un fegato nuovo.
La mamma, Veronica, psicologa, con il papà Diego, anestesista racconta: «Ci avevano detto da subito che per il nostro piccolo questo primo intervento era solo un palliativo: ci voleva un organo nuovo». I genitori del piccolo, sin dalla diagnosi della malattia, erano stati subito indirizzati dai sanitari di Treviglio all’ospedale Papa Giovanni XXIII. «E siamo stati seguiti con la massima professionalità e accuratezza. Io non smetto di commuovermi, se penso ai medici, agli infermieri, a tutto il personale del Papa Giovanni, e anche a Susanna e don Andrea della Casa di Leo, dove abbiamo trovato accoglienza per tutto il tempo dell’assistenza al nostro piccolo, ma anche tantissimo amore».
Tommaso è stato inserito nelle liste d’attesa per un trapianto ad aprile, e il 5 luglio in tarda serata è arrivata la telefonata: «Entro 4 ore dovete essere a Bergamo, c’è un organo per il bambino». «Già il mese prima eravamo stati avvertiti, ma l’organo non si era poi rivelato adatto – spiega la mamma – Così quella sera abbiamo fatto un viaggio in ambulanza da Treviso a Bergamo, eravamo troppo agitati per pensare di guidare». L’intervento è durato oltre 7 ore, eseguito con tecnica split (il fegato del donatore è stato diviso in due, la parte più grande è stata data ad un paziente adulto, e la parte più piccola a un bambino): il trapianto è stato eseguito dai chirurghi della Chirurgia 3 (diretta da Michele Colledan), Domenico Pinelli e Mara Giovanelli; anestesista Sergio Barbieri; strumentiste Valeria Rota, Laura Moroni, Federica Personeni; infermieri Paola Pinotti, Cristiana De Pirro, Claudia Belotti, Paola Maj; Oss Matteo Sala. L’organo era stato prelevato dai chirurghi Stefania Camagni e Francesco Calabrese.
«È stata un’esperienza inimmaginabile: Tommaso è il nostro primo figlio, dicevano che non avrei potuto averne, e poi è arrivato, dopo 5 anni. Scoprire la malattia, attendere il donatore, aspettare che uscisse dalla sala operatoria: emozioni travolgenti – continua la mamma –. Ora non posso che dire grazie a chi ha donato l’organo. E a tutto l’ospedale di Bergamo».
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