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Grazie a recenti risultati pubblicati su Nature relativi allo studio condotto da un team di ricercatori guidato dall’italiana Flaminia Catteruccia, professoressa di immunologia e malattie infettive all’Harvard T.H. Chan School of Public Health sono arrivati alla conclusione che l’atovaquone, principio attivo usato per prevenire e curare la malaria negli essere umani, possa essere assorbito dalle zanzare attraverso le zampe e impedire agli insetti di sviluppare il Plasmodium falciparum (P. falciparum) parassita responsabile della malaria.

Ogni anno più di 200 milioni di persone si ammalano di malaria, più di 400.000 ne muoiono. Negli ultimi 20 anni le zanzariere trattate con insetticidi a lunga durata hanno ridotto drasticamente il carico globale della malattia: si stima infatti che un 68% in meno di casi sono stati evitati a partire dal 2000. Tuttavia è stata osservata anche un’ondata di zanzare resistenti ai più comuni insetticidi, un’emergenza sanitaria pubblica che minaccia di annullare i progressi sino a qui raggiunti. Il trattamento delle zanzariere con atovaquone o composti simili potrebbe ora aprire la strada allo studio di composti efficaci per ridurre il carico della malattia.

«Le zanzare sono organismi incredibilmente resilienti: hanno sviluppato resistenza contro ogni insetticida usato per ucciderle – spiega la professoressa Flaminia Catteruccia – . Eliminando i parassiti della malaria nella zanzara possiamo aggirare questa resistenza e prevenire efficacemente la trasmissione della malattia. È un’idea semplice, ma innovativa».

I ricercatori per questo, avrebbero deciso di introdurre composti antimalarici nelle zanzare femmine del genere Anopheles in modo tale da simile a ciò che accade quando queste vengono a contatto con gli insetticidi sulle zanzariere. Piuttosto che uccidere le zanzare, l’obiettivo diventa quindi quello di dar loro un trattamento profilattico in grado di impedire lo svilupparsi e la trasmissione del parassita. Nel corso dello studio le zanzare sono state esposte ai farmaci con concentrazioni e tempi di esposizione diversi.

Risultato? Lo sviluppo di P. falciparum veniva completamente bloccato nelle basse concentrazioni e quando l’esposizione durava per almeno sei minuti, tempo medio che le zanzare trascorrono sulle zanzariere trattate con insetticida questo ha mostrato una riduzione sensibile della trasmissione. «Quando abbiamo inserito i risultati in un modello matematico, basandoci su dati reali di resistenza, copertura delle zanzariere e prevalenza di malattia, questo ha mostrato ridurre sensibilmente la trasmissione della malaria in quasi tutte le condizioni che conosciamo in Africa», conferma Douglas Paton, ricercatore e autore principale dell’articolo.

Prospettive future?
«Come le zanzare diventano resistenti agli insetticidi, anche i parassiti possono diventare resistenti ai farmaci- sottolinea la professoressa Catteruccia- . Usare lo stesso farmaco per uccidere i parassiti sia nell’uomo che nella zanzara potrebbe aumentare il rischio di resistenza alla terapia, mettendo a rischio le cure antimalariche». Per evitare che questo accada, risulta indispensabile ragionare su combinazioni di farmaci diversi nell’uomo e nella zanzara, in modo da accerchiare il parassita. «Stiamo cercando fondi per portare avanti queste ricerche. Abbiamo iniziato a collaborare con Medicines for Malaria Venture, un’organizzazione che si occupa di sviluppare farmaci contro la malaria. Con il loro supporto studieremo composti chimici capaci di uccidere il parassita nella zanzara». Gli scenari futuri profilano ora che «Se la strategia si dimostrerà valida, si potrebbe immaginare di sostituire gli insetticidi – tossici per l’uomo e per l’ambiente – con farmaci che uccidano selettivamente il parassita, senza danneggiare zanzara e habitat ecologico, e che siano sicuri per le persone che dormono sotto le zanzariere».

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