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I disordini del ritmo sonno-veglia sulle patologie neurologiche sono un campanello d’allarme. Le differenze epidemiologiche e terapeutiche tra uomo e donna in neurologia, nonché la memoria come principale elemento per la diagnosi neuropsicologica delle fasi prodromiche della demenza, le terapie geniche nelle malattie neuro degenerative sono tra i principali temi al centro del Congresso Nazionale della Società Italiana di Neurologia che si terrà a Bologna dal 12 al 15 ottobre e vedrà riuniti più di 2.500 specialisti provenienti da tutta Italia.

“Un’importante novità che presenteremo al Congresso Nazionale – ha affermato il Prof. Gianluigi Mancardi, Presidente Società Italiana di Neurologica e Clinica Neurologica Università di Genova – è la realizzazione di un bando di ricerca finanziato per la prima volta direttamente dalla Società Italiana di Neurologia: 120.000 euro a sostegno di 3 progetti di giovani ricercatori under 40 che operino nei 3 diversi territori italiani – nord, sud e centro – e che dovranno avere come obiettivo la realizzazione di studi clinici, epidemiologici, ricerche applicate o ricerche di base sulla “Neurologia di genere”.

Differenze importanti quelle tra uomo e donna, sia in termini di diverso funzionamento del cervello – maggiori capacità in abilità motorie e nell’orientamento spaziale per il sesso maschile, maggiore empatia e memoria soprattutto verbale nel sesso femminile – sia in termini di diffusione delle patologie neurologiche a causa degli ormoni femminili, sia come risposta alle terapie farmacologiche con maggiori effetti collaterali a svantaggio delle donne. E per questo, pertanto, si sta diffondendo, come 150 anni fa è avvenuto per la medicina pediatrica, una nuova area della medicina. Quella che tiene, sostanzialmente conto delle profonde differenze uomo/donna e si indirizza verso una personalizzazione di genere, che parte dalla diagnosi sino ad arrivare alla terapia stessa.

“La SIN – Società Italiana di Neurologia – è da sempre impegnata nel promuovere gli studi neurologici attraverso iniziative che sostengano la ricerca scientifica – prosegue il Prof Mancardi – ma da quest’anno ha deciso di scendere in campo contribuendo direttamente a finanziare e anche indirizzare la ricerca neurologica in Italia con particolare riguardo nei confronti dei giovani più promettenti e delle diverse aree geografiche del nostro Paese. Si tratta di un impegno che vogliamo mantenere anche nei prossimi anni, cambiando di volta in volta il tema su cui focalizzare la ricerca.”

Le patologie neurologiche in Italia, come in Europa e nel resto del mondo, fanno registrare numeri alti, destinati ad aumentare a causa del progressivo aumento dell’invecchiamento della popolazione: circa 1.000.000 le persone affette da demenza, di cui 600.000 sono quelle colpite da Alzheimer, e 800.000 i pazienti con conseguenze invalidanti a causa di Ictus, patologia che ogni anno fa registrare ben 150.000 nuovi casi di questa patologia.

Sempre in Italia, il Morbo di Parkinson colpisce circa 300.000 persone, mentre l’Epilessia 500.000 nuovi casi, dei quali almeno un quarto presentano situazioni particolarmente impegnative. In minoranza, ma con un trend in costante aumento, 120.000 pazienti, spesso giovanissimi, sono colpiti da Sclerosi Multipla e quelli con malattie dei nervi o dei muscoli.

Il Congresso Nazionale della SIN torna a Bologna dopo 25 anni.

“Attraverso le numerose sessioni – ha affermato il Prof. Pietro Cortelli, Presidente del Congresso e Ordinario di Neurologia presso l’Università di Bologna – il Congresso sarà l’occasione per condividere con i partecipanti l’aggiornamento sulle più recenti acquisizioni nel campo delle malattie neurologiche così come un valido strumento di approfondimento per i ricercatori. Ampio spazio verrà dedicato, come sempre, ai giovani che avranno l’opportunità di presentare le proprie attività di ricerca. Alla luce dell’alto livello scientifico dell’evento, possiamo sicuramente ribadire che la Neurologia Italiana ha raggiunto ormai una posizione di prestigio e di riconoscimento a livello internazionale, grazie soprattutto alla produzione scientifica dei nostri neurologi, ma che c’è ancora da lavorare per migliorare l’attività assistenziale ai pazienti, che risente della sfavorevole congiuntura economica che il nostro Paese si trova ad affrontare”.

Nel corso della conferenza stampa di presentazione del Congresso Nazionale SIN, gli esperti si sono soffermati su temi al centro del dibattito della quattro giorni di lavori:

1. DISORDINI DEI RITMI CIRCADIANI IN NEUROLOGIA

Il Prof. Giuseppe Plazzi, del Centro per lo Studio e la Cura dei Disturbi del Sonno dell’Università di Bologna ha spiegato che
il sonno è un comportamento altamente conservativo, universalmente presente e che occupa una parte sostanziale della vita di un animale. L’invecchiamento è associato a cambiamenti e alterazioni del ciclo sonno/veglia; e nelle persone affette da patologie neurodegenerative (quali malattia di Alzheimer, demenze correlate e morbo di Parkinson) tali alterazioni, tuttavia, raggiungono un livello di compromissione maggiore e solitamente precedono di alcuni anni l’inizio del declino cognitivo e la comparsa di sintomi motori.

Allo stesso modo, vi è anche un accumulo di beta amiloide e, quindi, progressione della malattia causa di disturbi del sonno. Sonno e malattia di Alzheimer sono, quindi, legati da una relazione bidirezionale su cui si sta iniziando ad indagare.

Al centro del Congresso le più recenti novità provenienti dalla ricerca scientifica, come la pubblicazione su Science del 2019 di uno studio da cui emerge come la privazione di sonno, sia acuta che cronica, causata da un’alterazione del ritmo sonno-veglia incrementi i livelli della proteina β-amiloide nel cervello e nel liquido cerebrospinale favorendo così la patogenesi della malattia di Alzheimer.

Di conseguenza, la possibilità di identificare esami strumentali in grado di riconoscere precocemente queste alterazioni per trattarle opportunamente ripristinando un ritmo sonno/veglia regolare, potrebbe permettere di prevenire o arrestare la progressione della neuro degenerazione e mitigarne i sintomi correlati.

2. LA NEUROLOGIA DI GENERE: COS’È E QUALI SONO LE PROSPETTIVE

La Prof.ssa Gennarina Arabia, Coordinatrice Gruppo di studio SIN “Neurologia di Genere” e Centro per lo studio dei disordini del movimento dell’Università Magna Graecia di Catanzaro ha parlato di nuova sfida della medicina moderna nel realizzare sempre più una “medicina di precisione o personalizzata”. La medicina di genere, tenendo conto delle sostanziali differenze che esistono tra uomo e donna, mira a realizzare proprie delle strategie per la prevenzione, diagnosi e cura delle patologie ottimali per ogni singolo individuo.

Negli ultimi decenni, diversi studi hanno indagato le differenze strutturali e funzionali del cervello tra uomini e donne, con risultati contrastanti.

È ormai noto comunque che uomini e donne presentino differenze nell’incidenza, sintomatologia e gravità di molte malattie, così come una diversa risposta alle terapie e un diverso rischio di sviluppare reazioni avverse ai farmaci. Le terapie in uso agiscono in modo diverso sulle persone di entrambi i sessi. Ma le donne, che hanno in genere un peso corporeo inferiore e un dosaggio per kilogrammo più elevato, più spesso presentano effetti maggiori, inclusi quelli indesiderati.

In particolare, gli studi epidemiologici hanno dimostrato che alcune patologie neurologiche colpiscono in modo differente i due sessi. Tra le più diffuse, troviamo emicrania, demenza di Alzheimer e sclerosi multipla. Che risultano essere le patologie più frequenti tra le donne, mentre tra le malattie neurodegenerative che colpiscono più gli uomini troviamo il Parkinson. Poi c’è l’emicrania che colpisce le donne 3 volte di più degli uomini: su 6 milioni di pazienti in Italia, 4 milioni sono donne. Diverso è poi anche l’impatto della malattia: le donne riportano una qualità di vita peggiore rispetto agli uomini e perdono un numero maggiore di giornate lavorative e di attività sociali rispetto agli uomini. Nonostante ciò, le donne tendono comunque a recarsi maggiormente al lavoro con dolore o malessere rispetto agli uomini.

Al contrario, per quanto riguarda la malattia di Parkinson, gli uomini sono colpiti 1,5 volte più frequentemente delle donne ma sono queste ultime a sviluppare molto più spesso – 300% in più – gli effetti indesiderati della terapia farmacologica, soprattutto movimenti involontari invalidanti.

3. LA DIAGNOSI NEUROPSICOLOGICA DELLE FASI PRODROMICHE DELLA DEMENZA

Il Prof. Stefano Cappa, Ordinario di Neurologia presso la Scuola Universitaria Superiore di Pavia ci ha parlato invece di individuare precocemente i soggetti a rischio per declino cognitivo costituisce una priorità di salute pubblica. In particolare, un’attenzione crescente viene posta verso gli interventi di tipo preventivo, che appaiono avere un ruolo centrale per la riduzione del rischio di progressione da deficit cognitivi lievi alle diverse forme di demenza, in particolare la malattia di Alzheimer e la demenza vascolare.

Gli strumenti tradizionali per la diagnosi dei disturbi cognitivi sono i test neuropsicologici, che devono essere sensibili e specifici: nel caso della memoria, ad esempio, è importante essere in grado di individuare deficit molto lievi, e di distinguerli dalle modificazioni che si osservano nell’invecchiamento fisiologico. Infatti alcuni aspetti della memoria, come la memoria di lavoro e la memoria episodica, diminuiscono fisiologicamente a partire dai 50-55 anni; sono lievi e hanno un carattere lentamente progressivo, riguardano compiti come il ricordare precisamente dove e quando abbiamo ricevuto un’informazione, o la capacità di tenere a mente più cose necessarie ad eseguire un compito. Chi invecchia si rende conto di queste difficoltà, e impara a compensarle, ad esempio prendendo più appunti o organizzandosi in modo preciso la giornata. I deficit di memoria che assumono una dimensione patologica riguardano circa il 10% della popolazione sopra i 60 anni. Si calcola che in Europa la dimensione di questa popolazione a rischio possa essere di 7 milioni di persone.

4. LA TERAPIA GENICA NELLE MALATTIE NEUROLOGICHE DEGENERATIVE

Il Prof. Adriano Chiò, Ordinario di Neurologia, Responsabile del Centro SLA, Università degli Studi di Torino ha parlato invece di malattie neurodegenerative come patologie progressive e non curabili, anche se alcune volte trattabili, che provocano la degenerazione progressiva e/o la morte delle cellule nervose. Nel complesso, causano disturbi nel movimento o del funzionamento cognitivo. Le più frequenti sono appunto l’Alzheimer, la malattia di Parkinson, le malattie del motoneurone come la sclerosi laterale amiotrofica (SLA) e la SMa – Atrofia muscolare spinale.

Negli ultimi anni si sono sviluppate tecnologie che promettono di intervenire sulle alterazioni geniche, correggendole o bloccandone l’effetto. Fra le molecole più interessanti compaiono gli oligonucleotidi antisenso (ASO), già approvati per il trattamento della SMA, una grave malattia infantile dovuta a delezioni del gene SMN, e che hanno determinato un vero cambiamento della storia clinica dei bambini colpiti.

Sono in corso sperimentazioni farmacologiche con ASO per il trattamento di pazienti portatori di due geni causali della SLA, SOD1 e C9orf72, e per il gene della malattia di Huntington. Nel prossimo futuro si attendono studi con ASO anche su alcune fra le più comune forme di atassia spinocerebellare.

Sono in fase di sperimentazione clinica anche terapie geniche basate su vettori virali, che permetteranno di intervenire a livello genico con la sostituzione, l’attivazione o il blocco della trascrizione del gene alterato o il trasporto di geni che si pensa possano alleviare o arrestare specifiche patologie neurodegenerative. Queste metodologie sfruttano la capacità dei virus di entrare nel nucleo cellulare e di integrare il loro DNA in quello umano. Questo approccio terapeutico è già in fase di avanzata sperimentazione nella SMA, in fase II nella malattia di Alzheimer ed è in fase I nella malattia di Parkinson e nella SLA.

5. NOVITÀ SULLA MALATTIA DI PARKINSON

Il Prof. Roberto Eleopra, Vicepresidente SIN e UOC Neurologia 1 – Parkinson e Disordini del Movimento, Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano ha rivelato che più recenti novità sulla malattia di Parkinson riguardano in primis la identificazione e caratterizzazione della sinucleina, identificata non solo come deposito patologico nei tessuti e/o nel liquor cerebrospinale (biomarcatore), ma anche perché possiede una diversa modalità di aggregazione proteica (misfolding), diversa tra Parkinson e altre malattie degenerative Parkinsoniane. Queste nuove conoscenze scientifiche hanno determinato in questi ultimi anni l’avvio di sperimentazioni cliniche anche nell’uomo, in particolare con terapie a base di anticorpi monoclonali diretti selettivamente proprio verso queste proteine anomale, al fine di rallentare o bloccare il processo degenerativo.

Anche la identificazione di forme di Parkinson dovute a mutazioni del gene GBA ha portato i ricercatori alla scoperta di nuove molecole terapeutiche, come ad esempio l’“attivatore allosterico specifico del gene mutato GBA”, che è già stato utilizzato in fase sperimentale in una piccola popolazione di soggetti con Parkinson da mutazione genetica.

Queste nuove terapie nell’uomo avrebbero come fine ultimo quello di identificare una possibile cura della malattia degenerativa, non prescindendo dalle valide terapie farmacologiche attualmente in presenti, con la speranza futura di modificare il decorso progressivo del Parkinson.

Sicuramente saranno necessari diversi anni per una possibile applicazione clinica, ma la ricerca traslazionale tra scienza sperimentale di base e clinica è ora una certezza.

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