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In diverse città italiane è possibile trovare all’interno delle farmacie uno psicologo, grazie a degli accordi tra farmacisti e psicologi, i loro Ordini professionali e associazioni di categoria e, in alcuni casi, anche con il supporto economico di amministrazioni locali e Asl. «La presenza dello psicologo in farmacia è legittimata dalla Legge 69 del 2009, che ha introdotto la farmacia dei servizi, e dai successivi decreti attuativi» dice Roberto Tobia, segretario nazionale di Federfarma, la Federazione che rappresenta oltre 18 mila farmacie private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale.

«La farmacia, oltre a svolgere la sua funzione principale di dispensare i medicinali, può offrire ai cittadini servizi aggiuntivi avvalendosi della collaborazione di altri professionisti come lo psicologo, purché nei locali ci sia un’area riservata dove può svolgere il servizio nel rispetto della privacy dell’utente». In questo contesto sono state elaborate e approvate specifiche «Linee guida per lo psicologo in farmacia», frutto di più di un anno di lavoro di un tavolo tecnico costituito presso il Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi (Cnop) da rappresentanti del ministero della Salute, degli Ordini degli psicologi e dei farmacisti e delle associazioni Federfarma e Assofarm (che rappresenta le farmacie comunali). Tali linee stabiliscono regole comuni a livello nazionale – dal ruolo del professionista alle competenze che deve avere, fino alle modalità per svolgere l’attività – al fine di implementare la psicologia in farmacia come «servizio strutturato diffuso capillarmente».

«Lo psicologo ha il compito di promuovere il benessere della persona e prevenire il disagio psicologico» spiega ancora la psicologa e psicoterapeuta Paola Esposito, consulente del Cnop per la psicologia in farmacia e dipendente di Farmacap, l’azienda speciale che gestisce le farmacie comunali di Roma.

«Lo psicologo svolge consulenze psicologiche ma non psicoterapeutiche che, invece, si effettuano presso le strutture del Servizio sanitario pubblico o presso studi privati» chiarisce Esposito. «In farmacia entra chiunque e la presenza di un professionista facilita l’accesso immediato e diretto a un primo sostegno professionale: ascoltando i bisogni della persona che ha un problema, per esempio perché sta affrontando una malattia o un lutto o una situazione di stress al lavoro oppure soffre d’ansia e attacchi di panico, l’aiuta ad attivare le proprie risorse emotive, affettive e cognitive per gestire meglio la situazione e superare le difficoltà.

«Molti accedono al servizio anche solo per avere informazioni sul ruolo specifico dello psicologo: qualcuno ancora pensa che prescriva i farmaci e lo confonde con lo psichiatra, che è il solo a poterlo fare». Secondo le linee guida, è fondamentale la sinergia tra psicologo e farmacista che, nel rapporto di fiducia con l’utente, è il primo a intercettare un eventuale bisogno psicologico. Spiega Tobia: «Per la caratteristica dei farmaci dispensati e per il rapporto diretto con l’utente, il farmacista può percepire il bisogno di supporto psicologico, per esempio, se si tratta di pazienti con malattie invalidanti o che fanno fatica a seguire le terapie, o di utenti con altri problemi come disturbi del sonno, ansia, maltrattamenti, dipendenze da sostanze. Se nota che l’utente è in difficoltà, può consigliargli un consulto con lo psicologo in sede».

Gratis fino a sei prestazioni
«Le sedute sono gratuite per l’utenza e si possono effettuare fino a un massimo di sei colloqui a persona. Lo psicologo riceve una remunerazione da parte della farmacia e non può indirizzare il paziente verso il suo studio privato» riferisce Esposito. «Cinque o sei incontri possono aiutare la persona a risolvere il problema e permettere al professionista di intercettare sul nascere il disagio psicologico evitando che possa trasformarsi in patologia. Si alleggeriscono così anche i costi dei servizi di sanità pubblica poiché lo psicologo esercita un’attività di screening svolgendo una funzione di filtro della domanda psicologica dei cittadini, riducendo gli accessi di primo livello e le richieste inappropriate ad altre strutture del Servizio sanitario», prosegue ancora la specialista. «Se, invece, il professionista intravede un problema serio, per esempio un disturbo psichiatrico, una bulimia o una dipendenza da gioco d’azzardo, indirizza l’utente verso i servizi pubblici specifici. L’orientamento è fondamentale poiché non sempre la persona è consapevole di avere un problema, o non può permettersi di sostenere i costi di una terapia presso uno studio privato e non sa che esistono strutture pubbliche sul territorio che possono dare risposte ai suoi problemi».

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