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Infermieri costretti a ‘trattenersi’ dall’andare in bagno per evitare di sostituire i dispositivi di protezione

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Infermieri costretti a ‘trattenersi’ dall’andare in bagno per evitare di sostituire i dispositivi di protezione, in quanto, continuano a scarseggiare in molte regioni del Nord Italia. Non solo. Infermiere che usano pannolini e cerotti, con la conseguenza che molte ora soffrono di cistite. Sono alcune delle situazioni, surreali, che tantissimi operatori sanitari sono costretti a subire per la mancanza di mezzi a disposizione.

Dal resoconto del sindacato degli infermieri emerge che “in Liguria tute e mascherine vengono centellinate e permangono i problemi di approvvigionamento, criticità elevate vengono riscontrate anche nelle Rsa e nelle strutture private per anziani, mentre i tamponi iniziano ad essere effettuati, ma ancora non sono stati coinvolti tutti gli operatori sanitari”. “Neanche nella regione Lombardia, i tamponi, nonostante la circolare ministeriale del 3 aprile scorso – denunciano gli infermieri – non vengono ancora somministrati alla totalità degli infermieri operanti in reparti Covid 19, ma solo ai sintomatici, con il correlato rischio per chiunque di potersi trovare a contatto con un operatore sanitario infetto asintomatico. I kit dei dispositivi di protezione in molte aziende sono tenuti sottochiave (sovra camice, calzari, filtranti Ffp2, guanti, occhiali, cuffia) e vengono distribuiti uno per volta con aggravio di lavoro per gli infermieri, che devono impegnare il già poco tempo a disposizione in continue richieste di integrazione delle dotazioni”.

“Nella regione Piemonte – fa sapere Nursing Up – viene segnalata una situazione pericolosa, con i magazzini dell’unità di crisi al lumicino quasi vuoti e le aziende sanitarie che si arrabattano come possono, anche con acquisti tramite privati e ricorrendo alle donazioni. Anche lì persistono gli stessi problemi operativi dovuti alla carenza di Dpi e ci tocca assistere all’ennesimo caso di mascherine fasulle, stavolta brasiliane, ad Alessandria. Nella Regione Veneto stanno effettuando i tamponi e usano quelli rapidi, e la disponibilità di mascherine chirurgiche e filtranti Ffp2 si sta normalizzando, ma registriamo un’evidente mancanza di camici ed occhiali a norma”.

“In Trentino Alto Adige – prosegue – le nostre delegazioni sono in subbuglio: a Trento sono pochi i Dpi e sono state fornite tute non a norma, per questo il sindacato le ha contestate e a fronte delle proteste degli infermieri sono state ritirate. Emerge inoltre che i tamponi al personale sono ancora pochi. A Bolzano sembrerebbe che sia stata acquistata una partita di mascherine e Dpi proveniente dalla Cina. Un cospicuo quantitativo di 1 milione di mascherine chirurgiche, 250.000 filtranti Ffp2 e Ffp3, camici e altri Dpi, per una spesa di circa 10 milioni di euro. Peccato che le mascherine arrivate e distribuite siano classificate come KN95 e invece, dai controlli effettuati dal ministero della Difesa viennese, 39 mascherine su 50 risulterebbe a malapena in grado di garantire la protezione di una Ffp1 e solo poche unità soddisferebbero gli standard previsti per le Ffp3”.

Nursing Up denuncia infine “curiose prassi di cui i colleghi ci hanno messo a conoscenza”. Ad esempio “in una casa di riposo di Bolzano, al personale che inizia il turno viene consegnata una mascherina per la quale si richiede la firma per ricevuta e a fine turno gli operatori devono restituire la busta vuota. A quanto ci viene riferito, si tratta di mascherine chirurgiche, che, tra l’altro, non servono a niente in presenza di pazienti Covid-19”.

Giovanna Manna

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