Una carenza di vitamina D collegata ai casi più gravi di Covid-19. A rivelarlo una ricerca scientifica che ha esaminato casi di pazienti ricoverati in terapia intensiva, tra marzo e aprile 2020.

Tale ricerca, questa volta è stato pubblicata sulla rivista scientifica Clinical Nutrition. E si tratterebbe di uno studio molto rigoroso che ha coinvolto specialisti di diversi ambiti per poter verificare se questo dubbio potesse davvero diventare una certezza. La ricerca è tutta italiana e porta la firma di diversi medici del Policlinico San Matteo di Pavia.

Nel periodo che tuttora rimane il più pesante dal punto di vista dell’emergenza in Italia, ovvero quello compreso tra marzo e aprile, i ricercatori hanno analizzato i valori di 129 pazienti ricoverati nella struttura. Purtroppo, 34 di loro sono poi deceduti.

I risultati parlano infatti di persone che riversavano nelle condizioni più severe, e che mostravano avere anche livelli molto bassi di vitamina D. Circa due giorni dopo essere entrati in ospedale, il 54,3% mostrava addirittura una carenza elevata.

Questo valore non faceva aumentare in modo diretto il rischio di morte, ma solo quello di venire intubati. C’era quindi un’evidente associazione tra mancanza del nutriente e l’insorgenza di una polmonite grave. Aumentavano infatti anche i marcatori biochimici che “misurano” l’intensità della malattia, come i linfociti specifici e la proteina C-reattiva.

Il professore di Geriatria e Presidente dell’Accademia di Medicina di Torino: “la vitamina D ha un effetto immunomodulatorio nella replicazione delle infezioni virali delle vie respiratorie. Sappiamo che la vitamina D ha correlazioni positive anche come prevenzione di infezioni virali. Probabilmente le ha pure per il Covid-19”. Non solo, ma non è tossica e ha effetti collaterali.

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