Una recente ricerca anglosassone, riportata dal Telegraph, riferisce che il 40% delle candidate, durante le interviste di lavoro, si sente rivolgere domande inopportune e spesso vietate dalla legge. La stessa percentuale, al maschile, è al 12%.
La gamma degli argomenti, per le inglesi, spazia dal credo religioso alla situazione sentimentale, dalle relazioni coi colleghi alla professione dei genitori o del partner.
Le domande più classiche sono: «Sei fidanzata? Hai intenzione di avere figli?», «Sei sicura di voler fare un lavoro così pesante?», fino ad arrivare a quelle da censure del tipo: «Saresti disponibile a vestirti in modo diverso? Ti andrebbe di fare, qualche volta, un weekend insieme?».
Le domande rivolte alle donne, durante il colloquio di lavoro, possono raggiungere tutte le sfumature della discriminazione. Sì perché si passa anche all’argomento figli, con domanda diretta o indiretta.
E superato il colloquio, si passa ad altri intoppi che possono pregiudicare un’assunzione al femminile. Del tipo, spostamenti territoriali all’estero, età, gravidanza o turni notturni.
Questo è quanto emerge da questa indagine svolta in Inghilterra, ma quante in Italia non si sono trovate nella stessa condizione?
E allora cosa fare?
Come prima cosa è di fondamentale importanta far emergere le proprie capacità, e possibilità di volerle valorizzare invece di mortificarle.
Poi se sono troppo invadenti e contro la privacy, denunciarle. o di selezione del personale e oggi è formatrice e coach, consiglia un «atteggiamento trasparente: se l’argomento viene messo in discussione, meglio ammettere il desiderio di un figlio, sottolineando di avere le capacità organizzative per affrontare nuovi carichi familiari. In questo modo, si mostra di avere un interesse reale a quel posto di lavoro, e di voler rappresentare una risorsa preziosa per l’azienda
Sul campo, resta il pensiero che agli uomini questi dilemmi non vengono posti. «C’è una lunga battaglia culturale da fare.
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