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Tumore dell’ovaio, studio italiano apre la strada a nuove terapie

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Fatto un importantissimo passo in avanti contro il tumore dell’ovaio. Uno studio italiano ha scoperto che esistono “relazioni pericolose” fra tre proteine che risultano essenziali per la crescita di questa neoplasia, tra le principali cause di mortalità femminile.

Un’interazione che rende le cellule tumorali capaci di dare origine alle metastasi e di non rispondere alle corrette terapie. Una scoperta, che arriva grazie ai ricercatori dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena (IRE) con il sostegno dell’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc), pubblicata sulla rivista scientifica Nature Communications e che apre ora la strada a nuove terapie.

I ricercatori nel loro studio hanno scoperto che, in molti casi, la p53 mutata legandosi ad un’altra proteina chiamata YAP, uno degli interruttori generali del cancro, in una ‘liaison’ pericolosa che porta i tumori a resistere alla chemioterapia. Un ruolo importante, questo qua, che lo avrebbe anche con una terza proteina, la beta-arrestina. Grazie così, ad una serie di esperimenti condotti con cellule tumorali che derivano dal paziente, i ricercatori sono riusciti ad arrivare alla conclusione che le tre proteine insieme – beta-arrestina, p53 mutata e YAP – costituiscono una piattaforma di coordinamento per altri segnali che consentono alle cellule tumorali di eludere la risposta al cisplatino, il farmaco di elezione nel trattamento del carcinoma ovarico.

“Abbiamo identificato una nuova vulnerabilità delle cellule tumorali – sottolinea Gennaro Ciliberto, direttore scientifico IRE – che una volta colpita può ridurre l’aggressività delle cellule del tumore sieroso dell’ovaio e che potrebbe essere utile a progettare nuove strategie terapeutiche e prognostiche”.

Il tumore ovarico rappresenta la quinta causa di morte per tumore nelle pazienti dei Paesi sviluppati. Questa patologia colpisce ogni anno 5200 donne in Italia e poco meno di 300 mila nel mondo, e nel 75% dei casi viene diagnosticata in fase avanzata. Il nuovo studio porta alla luce un meccanismo attraverso cui le mutazioni della proteina p53 rendono più aggressivo questo tumore, creando un inaspettato sistema di comunicazione.

Giovanna Manna

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