La TERMOABLAZIONE, è quella terapia che con il calore uccide le cellule tumorali. Un metodo complementare che si va ad aggiungere alla chirurgia tradizionale, alla radioterapia, alla chemio e ai nuovi farmaci. Grazie all’evoluzione tecnologica degli ultimi anni e all’impiego delle microonde, oggi la termoablazione è diventata estremamente precisa e quindi ancora più preziosa ed affidabile.
Ecco allora, che un campo sferico riscalda a oltre 50 gradi le cellule tumorali uccidendole, una ad una.
Medtronic, sfruttando l’impiego delle microonde nella sanità ha messo a punto uno strumento ablatore, simile ad un’ago metallico (antenna) che, inserito all’interno del tumore, crea un campo sferico che riscalda (a oltre 50 gradi) le cellule tumorali, uccidendole.
“Negli ultimi anni – spiega Gianpaolo Carrafiello, professore ordinario di Diagnostica per Immagini, Radioterapia e Neuroradiologia dell’università di Milano e direttore di Radiologia all’ospedale San Paolo – l’innovazione tecnologica ha messo a disposizione dispositivi in grado di aumentare le dimensioni delle aree di ablazione tumorale che, grazie alla definizione di contorni perfettamente sferici, sono diventate sempre più definibili. I nostri pazienti vengono trattati in sedazione moderata nella sala angiografica. Eliminando l’anestesia generale, si possono, così, trattare tutti i pazienti non eleggibili ad altre terapie per la presenza di comorbilità. La degenza è generalmente di 1 o 2 giorni”.
“I benefici della termoablazione per il paziente oncologico – aggiunge Sandro Barni, direttore del dipartimento Oncologico dell’Asst Bergamo Ovest-Treviglio – riguardano prevalentemente il fatto che è una metodica meno cruenta della chirurgia tradizionale, più rapida, meno dolorosa e ripetibile in caso di recidive. La termoablazione, a parte casi specifici come l’epatocarcinoma primario non è sostitutiva, ma complementare alla chirurgia tradizionale e ai trattamenti medici, e ha indicazioni ben precise, come il volume, il numero e la localizzazione delle lesioni tumorali. Per questo motivo è fondamentale che il paziente sia preso in carico da un team multidisciplinare, che deve essere composto, come minimo, oltre che dall’oncologo, dal chirurgo e dal radiologo interventista. L’importante è, infatti, definire l’appropriatezza terapeutica: capire, cioè, qual è il paziente giusto e il momento giusto per eseguire questa procedura”.