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tumore-ovarico

In occasione della quinta giornata mondiale dedicata al tumore ovarico, malattia che colpisce ogni anno 6mila donne, arrivano nuove speranze dall’immunoterapia.

Nel carcinoma ovarico in stadio iniziale (I e II) l’obiettivo dell’approccio terapeutico è quello della guarigione mentre nel tumore in stadio avanzato (III e IV) solo un 30% dei casi può guarire dalla malattia. Per il restante 70% gli specialisti cercano infatti la cronicizzazione, possibile grazie a terapie oggi disponibili». A spiegarlo è Nicoletta Colombo, Direttore Programma Ginecologia Oncologica, Istituto Europeo di Oncologia, Milano dove a partire da oggi a tutte le pazienti in cura per carcinoma ovarico verrà consegnato un “Oncochip” in grado di analizzare 115 geni oggi noti per essere legati al rischio di sviluppare malattie neoplastiche. La prima tappa del percorso di cura è l’intervento chirurgico, cui deve sempre seguire la chemioterapia di prima linea.

Negli ultimi vent’anni, la ricerca ha fatto enormi passi avanti e il più importante è stato senza l’arrivo dei nuovi farmaci anti-angiogenici, come il bevacizumab, capaci di agire specificatamente sul processo di neo formazione vascolare, limitando così la crescita del tumore e la metastatizzazione.

Inoltre, per le pazienti affette da tumore ovarico e con mutazione BRCA 1 e 2, esistono ulteriori terapie come i PARP inibitori. «Le pazienti oggi vivono più a lungo di un tempo, anche grazie ai nuovi farmaci che permettono di tenere la malattia sotto controllo» ha spiegato la Colombo «Adesso è il momento dell’immunoterapia anche per il tumore ovarico, per il quale sono in corso numerose sperimentazioni. Come lo studio che partirà a breve randomizzato di prima linea condotto a livello mondiale e in Italia in una decina di centri: dopo la chirurgia, le pazienti riceveranno trattamento standard (chemio e bevacizumab) e nuovo farmaco immunologico (atezolizumab) inibitore del checkpoint immunologico PD-L1».