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Venticinque ragazze si sono salvate dalle camere a gas e dai forni crematori, grazie alla loro arte. Al cucito. Cucendo abiti d’alta moda per le mogli delle SS e le dame dell’elite nazista berlinese, per le signore dei propri aguzzini.

A dare voce alla storia de ‘Le Sarte di Auschwitz’, queste venticinque ragazze sopravvissute al campo di sterminio grazie al loro talento e capaci di costruire, attraverso la solidarietà, una rete di resistenza, è l’inglese Lucy Adlington. Storica della moda, autrice di diversi romanzi ambientati negli anni Quaranta, in questo suo primo libro tradotto in italiano, la Adlington ci mostra con uno sguardo inedito le orribili crudeltà e contraddizioni del regime nazista.

Tutte dell’Europa orientale, in maggioranza slovacche, tranne due francesi, le ragazze arrivate ad Auschwitz nel 1942, lavoravano in una stanza nel seminterrato dell’edificio che ospitava gli uffici amministrativi delle SS. La moglie del comandante, Hedwig Hoss, che aveva ideato il Laboratorio di Alta Sartoria, era la loro principale cliente.

Private di tutto, le 25 sarte passavano le loro giornate, con un fazzoletto bianco in testa, tagliando, cucendo, disegnando senza sosta abiti e biancheria per persone orribili che le disprezzavano e le consideravano subumane. La più piccola aveva 14 anni e la chiamavano Gallinella, le altre erano intorno ai vent’anni. Le due francesi non erano ebree ma le comuniste Alida e Marilou, arrivate per essersi opposte all’occupazione nazista del loro Paese. Tra loro si creò una rete d’amicizia e lealtà e mentre infilavano aghi, tra il rumore delle macchine da cucire, imbastivano insieme agli abiti progetti di resistenza e fuga. A volte le cucitrici assegnate al turno di notte nella sala rammendi, riuscivano nell’operazione rischiosissima di sintonizzare la radio sulla Bbc.

Il Laboratorio come veniva chiamato “condensava i valori di fondo del Terzo Reich: il privilegio e il compiacimento uniti al saccheggio, alla degradazione e all’omicidio di massa” sottolinea l’autrice che ha intervistato l’ultima sopravvissuta ancora in vita, la signora Bracha Kohut, quando aveva 98 anni, nella sua casa sulle colline non lontano da San Francisco, ha incontrato le famiglie delle “sarte” e consultato molti archivi per la stesura del libro, tradotto da Chicca Galli. ‘Le sarte di Auschwitz’, che include foto in bianco e nero, “non è un racconto romanzato. Le scene e le conversazioni intime descritte si basano interamente su testimonianze , documenti, prove materiali e memorie narrate ai membri delle loro famiglie o personalmente a me, corroborati da ampie letture e dalla consultazione degli archivi” sottolinea nell’introduzione l’autrice.

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