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L’Italia ha avviato l’acquisto di anticorpi monoclonali, farmaco anti-Covid su cui è partita ufficialmente la sperimentazione nei nostri ospedali e che potrebbe rappresentare un importante punto di svolta nella terapia contro il virus.

Come stabilito dal commissario straordinario, generale Francesco Paolo Figliuolo, sono state acquistate 150mila dosi per un valore di circa 100 milioni di euro.

La sperimentazione su pazienti sta andando molto bene.
A differenza dei vaccini, i monoclonali prevedono una sola infusione senza richiami e si prevede che coprano anche tutte le varianti fino ad ora note del coronavirus. Il via libera alla distribuzione è arrivato anche dal ministro della Salute Roberto Speranza che ha firmato un decreto d’urgenza. Il ministero ha deciso di sfruttare l’opportunità concessa dalla legge 648 del 1996, che prevede l’utilizzo di farmaci ancora in corso di sperimentazione se non c’è una terapia alternativa valida contro una determinata malattia.

Ma i risultati sembrano essere più che positivi ed incoraggianti.

Nella sperimentazione clinica di fase 1 degli anticorpi messi a punto dalla Fondazione Toscana Life Sciences, sono stati coinvolti 30 volontari. L’anticorpo umano individuato “ha dimostrato finora una potenza di neutralizzazione tale per cui è sufficiente un dosaggio più basso rispetto ad altri trattamenti analoghi e potrà così essere somministrato attraverso una iniezione intramuscolare”, secondo la Fondazione. E questa modalità risulterebbe meno invasiva per i pazienti. 

A Pesaro ad esempio, dei pazienti si sentono rinati tre volte. Perché dopo aver subito un trapianto d’organo, si sono trovati a dover rischiare ancora la vita, a causa del Covid. Loro sono i primi tre pazienti positivi delle Marche a cui sono stati somministrati alcuni giorni fa, gli anticorpi monoclonali per il trattamento del covi d19.

“La gente che ha una salute di ferro non si rende conto della fortuna che ha – dice Alessandro Cecchini, di Pesaro, 52 anni, che nel 2013 ha subito un trapianto del rene –. Queste cure sono un’arma in più contro il virus, per questo, anche se lì per lì ero un po’ spiazzato, ho accettato subito. Anche mio figlio di 17 anni è stato molto contento”.

Paola Bartolini, 69 anni, di Rimini, anche lei trapiantata: dichiara “Ho due figli e tre nipoti, ho bisogno di stare bene – dice con un sorriso che è già un programma –: in 15 anni, dopo il trapianto di reni a Bologna, sono sempre stata bene. I medici mi hanno salvato la vita, e anche stavolta mi sono rivolta a loro: quando mi hanno detto che c’era questa possibilità e che avrebbe potuto essere utile, non ci ho pensato due volte. Ora vediamo come va”.

I tre pazienti infatti – con loro anche una donna del ’68 di Pesaro, che ha avuto un trapianto di reni e fegato – terminata l’infusione e il periodo di osservazione, hanno potuto tornare a casa, per proseguire la terapia che normalmente si prescrive ai malati covid.

Nel frattempo a Marche Nord è già pronta una lista di “pazienti fragili”, individuati in base a criteri stabiliti dal decreto. Saranno loro i primi destinatari di alcune delle restanti 130 sacche custodite in Ancona e pronte a partire.

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