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Sono almeno 8 le ricerche effettuate da Alessandro Impagnatiello con le parole “avvelenare feto“, “uccidere feto“, “veleno per topi incinta”, “veleno per topi gravidanza” (ed espressioni similari) pochi giorni dopo che la fidanzata Giulia Tramontano aveva scoperto di aspettare un bambino.

È quanto emergerebbe dalle slide elaborate dai carabinieri di Milano per mostrare nel processo i risultati delle copie forensi sui dispositivi del barman 30enne, imputato di aver ucciso in maniera premeditata la compagna e il bambino di 7 mesi che protava in grembo con ben 37 coltellate il 27 maggio del 2023 e aver tentato di bruciarne il corpo, occultandone il cadavere.

La povera vittima scorpre di essere incinta a fine novembre del 2022.  E tra il 12 e il 14 dicembre dello stesso anno, Impagnatiello cerca “veleno topi”, associato al nome di marchi e negozi di rivendita e “veleno topi gravidanza” con varie declinazioni. Ma fa anche un’altra ricerca in rete, non datata nelle slide, con la stringa “ammoniaca feto”. Il 9 dicembre del 2022, sei mesi prima dell’omicidio, Tramontano si scambia messaggi WhastAspp con la madre che vive in Campania, Loredana Femiano. Scrivendole, più volte: “L’acqua che abbiamo preso puzza terribilmente di ammoniaca. Te ne accorgi solo se bevi dalla bottiglia, l’ho buttata e l’ho tagliata per sentire meglio e puzza tantissimo”.

Tanti i tentavi di depistaggio da parte dell’imputato.  Amiche inventate e indirizzi di Milano inesistenti, urla in casa, da parte della donna uccisa, ricerche su come lavare il sangue fatte sul cellulare davanti ai carabinieri.

Il tutto ha inizio domenica 28 maggio 2023: quando la sera prima Giulia Tramontano è stata uccisa con 37 coltellate e il corpo bruciato nella vasca da bagno e nel box. Ma nessuno lo sa ancora. Dopo l’alba il 30enne esce dall’appartamento in cui è rientrato alle 3.22. Si ferma, getta i documenti e il telefono (mai trovato) della ragazza in un tombino al McDonald di via Rubicone e va al lavoro. Dall’Armani Cafè di via Montenapoleone le scrive “riposati tu”, “Hey ma sei ancora a letto?”. Giulia, però, non risponde è già morta.

I familiari sono preoccupati, come anche la suocera, la madre del suo assassino, che fa irruzione in casa e non la trova. Alle 19 Impagnatiello denuncia in caserma a Senago la scomparsa.

Dai primi accertamenti dei carabinieri il telefono di lei è “muto”, ospedali e 118 non l’hanno alcuna notizia. Il fidanzato dice di essere uscito di notte per andare a comprare della droga in viale Certosa 390, un civico che non esiste. Prima ha avuto una “discussione pacifica” con la compagna che ha scoperto la relazione parallela con una collega di lavoro. La stessa che afferma, invece, di aver saputo da lui che Giulia è in compagnia di tale ‘Samanta’. Nome inventato per un’amica che non c’è. È notte quando i carabinieri vanno a casa della coppia. Trovano una lavatrice che ha appena finito il suo ciclo di lavro, con i panni ancora bagnati. La Volkswagen T-Roc del 30enne ha un cattivo odore di benzina. E lui si giustifica dicendo che aveva acquistato alcune bottiglie di carburante con i soldi delle mance e si erano rovesciate nel baule dell’autovettura. Nello zaino ha del topicida – lo stesso rilevato dall’autopsia – che sostiene di usare per scacciare i topi da una piazzetta di Milano dove egli va a fumare. Omette ai militari la presenza di un box nel palazzo.

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