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La sindrome respiratoria acuta grave, legata al Covid-19 può attaccare anche il miocardio. Studi recenti hanno valutato il livello ematico di marker cardiaci, sostanze normalmente presenti nel muscolo cardiaco, ma che vengono rilasciate nella circolazione solo se il miocardio è danneggiato o necrotico, scoprendo che rispetto ai pazienti senza malattie cardiache, quelli che hanno sviluppato questo tipo di lesione erano più anziani (età media 74 anni contro 60 anni).

La presenza di una patologia preesistente (ipertensione, diabete, malattia coronarica, insufficienza cardiaca, malattia cerebrovascolare) era più frequente nei pazienti che hanno avuto un coinvolgimento cardiaco. Ma soprattutto, i pazienti con patologie cardiache erano quelli (il 58%) che presentavano un disturbo respiratorio acuto rispetto agli altri (4%). Tra questi, il tasso di mortalità era significativamente più alto (51%) rispetto ai pazienti senza coinvolgimento cardiaco (4,5%). Recenti articoli pubblicati su JAMA Cardiology, come quello dell’Università del Texas, hanno inoltre rilevato miocarditi (infezioni al cuore), vasculiti (ai vasi sanguigni), aritmie, insufficienza cardiaca e altre condizioni all’apparato cardiocircolatorio in pazienti affetti da COVID-19, anche in chi aveva un cuore perfettamente sano prima di restare contagiato. E non è un caso che l’ipertensione e le cardiopatie siano associate a un rischio di mortalità più elevato per i pazienti colpiti dal coronavirus.

Altri organi fortemente esposti al coronavirus sono i reni, in particolar modo, i tubuli dei nefroni deputati alla filtrazione del sangue, tanto che i pazienti più gravi possono sviluppare un’insufficienza renale acuta potenzialmente fatale. “Nelle autopsie finora condotte, si è visto che un terzo dei pazienti è deceduto a causa di un’insufficienza renale acuta. Sappiamo che l’infezione determina un aumento della microcoagulazione del sangue nei vari organi. Alcune persone potrebbero essere morte perché i reni si sono bloccati proprio a causa di questo evento”, a spiegarlo il professor Claudio Cricelli, presidente della Società Italiana di Medicina Generale (SIMG).

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