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La Cina ha fissato un limite per gli aborti per quelli per “finalità non terapeutica”. La misura fa parte delle nuove linee guida emanate da Pechino per intervenire la tendenza democratica nel Paese.

Tutelare la “salute riproduttiva delle donne”. Il Paese, che conta oltre un miliardo di abitanti, noto anche per aver adottato per decenni la “politica del figlio unico”, oggi ha deciso per l’introduzione della nuova legge con l’obiettivo di voler salvaguardare la salute delle donne, future mamme.

Pochi dettagli in merito che accompagnano la misura e preoccupano i cittadini, soprattutto le donne, che già in passato hanno dovuto fare i conti con l’ingerenza di Pechino nella gestione delle nascite.

Infatti erano gli anni ’70 quando la Cina introdusse quella che sarebbe poi passata alla storia come la “politica del figlio unico”, il piano di controllo delle nascite che imponeva alle coppie di avere un solo bambino. In Cina, per decenni – fino al 2015, gli aborti erano ampiamente consentiti e molto spesso anche implicitamente “obbligati”.

Gli aborti fino a oggi – Secondo le statistiche del governo, dal 1971 al 2013 i medici hanno eseguito in questa nazione 336 milioni di aborti. Inoltre, la consapevolezza di poter avere un solo erede e la predisposizione culturale a cercare almeno un figlio maschio hanno determinato il ricorso agli aborti selettivi. E pertanto, un forte squilibrio di genere, con 30 milioni di uomini in più rispetto alle donne.

Le misure introdotte dal 2015 ad oggi per invertire la tendenza demografica in atto non sarebbero quindi servite a molto. La Cina, pur rimanendo il paese più popoloso al mondo, ha visto dal 2011 al 2020 il tasso di crescita demografica più basso registrato dagli anni ’50.

Un’inversione di tendenza del tasso di natalità destinata ad aumentare nel prossimo futuro: nell’arco di soli quattro anni il tasso di fertilità è sceso dai 1,6 nati per donna del 2016 ai 1,3 del 2020.

photo credit agi.it

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