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Si vedono nei programmi tv, vivono in case affollate da oggetti che ne occupano ogni angolo. Sembrano tanto lontani da noi e dalla nostra realtà e invece li abbiamo anche nelle nostre città.

In medicina la patologia si chiama “disposofobia”: è quella che colpisce gli accumulatori seriali. Persone all’apparenza normalissime, che vanno al lavoro ogni mattina, ma quando tornano a casa si immergono in un ambiente pieno di roba, sudicio, trasandato, per lo più da buttare, rifiuti di ogni tipo, montagne di vestiti sporchi, pile di giornali ingialliti, stracci e avanzi di cibo lasciati ad ammuffire su tavoli unti e fornelli neri. Una malattia che per alcuni è «il male del secolo», perché essere un accumulatore può diventare pericoloso, per se stessi e per gli altri.

Un mese fa a Milano un anziano è morto seppellito dagli oggetti che conservava in casa: una sigaretta finita sul pavimento o un fornello lasciato acceso e la casa ha preso fuoco in pochi minuti, divorata dal fuoco, dalla montagna di roba inutile. «Inutile per noi, che guardiamo dall’esterno, ma fondamentale per chi la accantona con meticolosa cura e il solo pensiero di separarsene lo distrugge», racconta Giovanni Armando Costa, tecnico della prevenzione per Ats Città metropolitana, dove lavora dal 1996.

Un esperto in disposofobia, impiegato nel settore Igiene e Sanità Pubblica del Dipartimento di Prevenzione Sanitaria. È lui a lanciare l’allarme, ogni volta che c’è una nuova emergenza. Ogni hanno solo nel capoluogo lombardo si registrano oltre 300 casi di accumulatori seriali. «Sono sepolti vivi – racconta il tecnico –. Respirano aria malsana, impregnata da un tanfo sprigionato da locali ormai impossibili da pulire. E il problema si ripercuote anche sui vicini, da cui riceviamo la maggior parte delle segnalazioni». Odori, insetti, animali, principi di incendio e infiltrazioni di acqua: la patologia colpisce il singolo ma le conseguenze possono essere devastanti e e riguardare anche altri. E se pensate che l’identikit dell’accumulatore sia vicino alla figura del senzatetto, siete fuori strada.

«Uomini, donne, giovani e anziani, persone istruite, facoltosi professionisti – elenca l’esperto –: il fenomeno non fa distinzioni di ceto o condizioni. Abbiamo fatto sopralluoghi in case modeste come all’interno di ville di lusso». Quello che accomuna le vittime è «il senso di isolamento – precisa la psicologa Caterina Costa –. La tendenza ad accumulare si accentua con gli anni ma si può manifestare già dall’adolescenza».

A cadere nel pozzo della disposofobia soprattutto persone che hanno affrontato un lutto, una separazione, eventi tragici da cui non sono riusciti a trovare via di uscita: «L’unico sentimento positivo lo provano nel desiderio di accumulare», sottolinea Costa. Ma una via di uscita c’è: a Milano l’Ats ha dedicato un numero per segnalare casi (02.85787670) e aiutare chi soffre del disturbo a guarire da quella che ormai ha tutto l’aspetto di una grave, ma guaribile, malattia.

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