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Secondo i dati raccolti dall”Istat nel suo Rapporto annuale 2010, emerge che l’economia italiana e’ quella che e’ cresciuta di meno rispetto agli altri paesi europei nell’intero decennio 2001-2010, “con un tasso medio annuo pari allo 0,2%, contro l’1,1% dell’Uem”.

“Il ritmo di espansione della nostra economia e’ stato inferiore di circa la meta’ a quella medio europea nel periodo 2001-2007, e il divario si e’ allargato nel corso della crisi e della ripresa attuale”.

Se nel 2010 da una parte “l’economia internazionale ha recuperato ampiamente i livelli d’attivita’ precedenti” dall’altra, la recessione, spiega l’istituto, per “l’intensita’ dell’espansione e’ stata molto differenziata tra le aree geo-economiche”.

A livello globale la crescita e’ incrementata dalle economie emergenti (il Pil e’ aumentato del 7,3% contro il 2,7% del 2009), “mentre nelle economie avanzate il Pil e’ cresciuto del 3%, dopo una caduta del 3,4% l’anno precedente”.

Anche tra le economie europee “l’intensita’ della crisi del 2008-2009 e la velocita’ della ripresa in corso sono state disomogenee”.

L’Italia, in questo quadro, sottolinea l’Istat, “ha subito la maggior caduta del prodotto insieme alla Germania (rispettivamente 7,0 e 6,6 punti percentuali), mostrando pero’, al contrario di quest’ultima, un recupero molto modesto: a marzo 2011, al netto degli effetti di calendario e della stagionalita’, il Pil in Italia e’ ancora inferiore di 5,1 punti percentuali rispetto al primo trimestre 2008, mentre il recupero e’ stato completo in Germania e, per l’insieme dell’Uem, il divario da colmare e’ del 2,1%”.

Rispetto alla media dello scorso anno “l’economia italiana e’ cresciuta dell’1,3%, contro l’1,8% dell’Uem”.

Anche i dati che emergono nei primi dati del 2011 non sono affatto buoni, se vengono paragonati a quelli degli altri i stati vicini e a rimetterci, naturalmente è soprattutto l’occupazione.

Resta il tasso ma peggiora la qualità soprattutto per il mondo del lavoro femminile. Nel 2010, è scesa l’occupazione qualificata, tecnica e operaia ed è aumentata soprattutto quella non qualificata. Si tratta soprattutto di italiane impiegate nei servizi di pulizia a imprese ed enti e di collaboratrici domestiche e assistenti familiari straniere.

Un secondo fattore di peggioramento di questa categoria è dato dalla crescita del part time, quasi interamente involontaria e concentrata nei comparti di attività tradizionali (commercio, ristorazione, servizi alle famiglie e alla persona) che presentano orari di lavoro poco adatti alla conciliazione della donna con la famiglia. Persiste inoltre tra le donne una sempre più maggiore diffusione del lavoro temporaneo: 14,3 per cento contro il 9,3 per cento degli uomini.

Un terzo indicatore di questo peggioramento della qualità del lavoro femminile riguarda la crescita delle donne sovraistruite, vale a dire quelle con un lavoro che richiede una qualifica più bassa rispetto a quella posseduta.

Troviamo, infatti, il fenomeno della sovraistruzione che interessa il 40 per cento delle occupate (31 per cento tra gli uomini) e abbraccia tutto il ciclo della vita lavorativa. Un ulteriore aspetto della qualità del lavoro è riferito alla disparità salariale di genere, che rimane notevole nel 2010: la retribuzione netta mensile delle lavoratrici dipendenti è di circa 1.077 euro contro i 1.377 euro dei colleghi uomini, in termini relativi circa il 20 per cento in meno. Il divario poi si dimezza se si considerano i soli impieghi a tempo pieno (rispettivamente, 1.257 e 1.411 euro).

Ma non è tutto. La partecipazione delle donne al mercato del lavoro è ancora molto più bassa in Italia rispetto al resto d’Europa. Nel 2010 il tasso di occupazione femminile si è fermato al 46,1 per cento, 12 punti percentuali in meno di quello medio europeo. L’indicatore è al 55,6 per cento per le madri (68,2 il corrispondente tasso europeo).

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