E’ stato assolto Giovanni Castellucci, ad di Autostrade per l’Italia, nel processo per il bus precipitato dal viadotto Acqualonga, sull’autostrada A16 Napoli-Canosa, il 28 luglio 2013 in cui persero la vita 40 persone. Per lui l’accusa, e altri 11 dirigenti e funzionari, era di omicidio colposo plurimo e disastro colposo, con condanna di 10 anni di reclusione.
La sentenza è stata letta pochi minuti fa dal giudice monocratico del tribunale di Avellino Luigi Buono, lasciando in tutti una grande rabbia e profonda amarezza.
“Vergogna, questa non è giustizia”, hanno gridato in tribunale i familiari delle vittime subito dopo la lettura della sentenza.
“Hanno messo fuori un assassino. Ha vinto il dio denaro”, hanno urlato ancora le persone sconvolte in riferimento all’assoluzione dell’amministratore delegato. I parenti, molti dei quali in lacrime, hanno anche provato a sbarrare le porte dell’aula per non far uscire nessuno e i carabinieri hanno fatto fatica a contenerli: vogliono chiedere al giudice di uscire dalla camera di consiglio e spiegare l’assoluzione di Castellucci.
Tornavano a casa da una gita di alcuni giorni dalla città di Telese Terme (Benevento) e nei luoghi di Padre Pio, a Pietrelcina, le 40 vittime che hanno perso la vita il 28 luglio del 2013. Erano partiti da Pozzuoli (Napoli) con il bus della stessa agenzia alla quale si erano già rivolti per organizzare spiccioli di vacanza in comune e a buon prezzo, 150 euro a persona tutto compreso, e con la quale avevano già programmato un nuovo viaggio al santuario mariano di Medjugorje. Lungo la discesa dell’A16 Napoli-Canosa, nel territorio di Monteforte Irpino (Avellino) il bus guidato da Ciro Lametta, fratello del proprietario dell’agenzia Mondo Travel che aveva organizzato il viaggio, cominciò a sbandare dopo aver perso sulla carreggiata il giunto cardanico che garantisce il funzionamento dell’impianto frenante. Dopo aver percorso un chilometro senza freni, ondeggiando a destra e sinistra, tamponando le auto, una quindicina, che trovava sul percorso, il bus nel tentativo di frenare la corsa si affiancò alle barriere protettive del viadotto “Acqualonga” che cedettero facendolo precipitare nel vuoto da un’altezza di 40 metri.
Il perito del giudice ha sostenuto nella sua analisi che la strage si sarebbe potuta evitare e “derubricare in grave incidente stradale se solo le barriere fossero state tenute in perfetto stato di conservazione”. Autostrade per l’Italia però non avrebbe adempiuto a quest’obbligo. Altrimenti la traiettoria impazzita del vecchio pulmino turistico, dovuta alla rottura dell’impianto frenante – e poi si scoprirà che il certificato di revisione del veicolo era, secondo l’accusa, fasullo – avrebbe avuto un altro esito, il mezzo “sarebbe stato concretamente trattenuto in carreggiata, fino al suo arresto definitivo”, scrisse il perito Felice Giuliani, docente di Ingegneria delle Infrastrutture a Parma.
Eppure, non si spiega quello che è accaduto oggi.