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Grazie a un donatore con caratteristiche rarissime, a Bergamo un gruppo di ricercatori è riuscito ad individuare, per la prima volta in assoluto, la presenza sui neutrofili della molecola CD16A, finora trascurata ma capace di influenzare il successo della terapia. Il risultato, pubblicato su «Blood», apre nuovi ed importanti scenari nelle ricerche incentrate sul sistema immunitario.

Per creare cure fatte a posta su misura contro i linfomi, i ricercatori hanno scoperto che la stessa terapia su un malato funziona bene, mentre su di un altro meno, e su un terzo per nulla affatto. Questo sarebbe spiegato da alcuni geni, ma non solo.

Josée Golay, responsabile delle attività di ricerca del Centro di terapia cellulare «Gilberto Lanzani», dell’Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo – ha fornito per la prima volta alla comunità internazionale dei ricercatori un’informazione importante, grazie a una scoperta del tutto inaspettata.

«Durante gli studi arruoliamo volontari sani disposti a sottoporsi a un semplice prelievo di sangue per studiare l’interazione degli anticorpi terapeutici con il nostro sistema immunitario. Uno di loro, come abbiamo scoperto successivamente, aveva una caratteristica molto rara: era un donatore “nullo”: non esprime cioè un particolare recettore del sistema immune, chiamato CD16B, normalmente espresso dai neutrofili, un importante tipo cellulare del sistema immune – spiega Golay che è anche responsabile delle attività precliniche (sperimentazione di laboratorio e gestione della qualità per le nuove terapie cellulari) di From, Fondazione per la ricerca Ospedale di Bergamo –. Questi donatori sani sono rarissimi. In questo modo abbiamo capito che alcuni effetti degli anticorpi in vitro non erano dovuti al CD16B ma a un altro recettore simile, il CD16A, che solitamente non viene preso in considerazione. Invece ora sappiamo che ha un effetto importante nella risposta del paziente a uno dei farmaci più utilizzati contro i linfomi».

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