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Secondo un progetto di sensibilizzazione sulla terapia adiuvante, realizzato con il supporto incondizionato di Pierre Fabre, il 93% delle pazienti con tumore del seno valuta positivamente l’estensione della terapia adiuvante, cioè successiva alla chirurgia, per ridurre il rischio di recidiva.

Ma più dell’80% teme i ritardi nella disponibilità in Italia di nuovi trattamenti in grado di poterne migliorare la relativa sopravvivenza.

Sono questi i dati principali che emergono da un sondaggio condotto su circa 130 pazienti sull’assistenza sanitaria nel post Covid.

“Ogni anno, in Italia, quasi 55mila donne ricevono la diagnosi di tumore della mammella, la neoplasia più frequente in tutta la popolazione – spiega Francesco Cognetti, presidente della Fondazione Insieme Contro il Cancro -. La terapia adiuvante della malattia radicalmente operata può essere considerata uno dei maggiori successi in oncologia negli ultimi trent’anni. Anche grazie a questa, infatti, nonostante il costante aumento dei casi, la mortalità è diminuita del 6,8% rispetto al 2015”.

I trattamenti adiuvanti vengono proposti in base allo studio del singolo caso. Nelle pazienti con tumori caratterizzati da iperespressione della proteina HER2, il trattamento adiuvante con la chemioterapia, la terapia ormonale e un anno di terapia biologica rappresenta lo standard di cura. “Questo ha migliorato la sopravvivenza, rendendo la malattia HER2 positiva guaribile nella grande maggioranza delle pazienti, ma non hanno eliminato il rischio di un ritorno del tumore, che avviene in circa un caso su 5. Quindi in questa popolazione, c’è un forte bisogno clinico insoddisfatto di ridurre il rischio di ricadute, di progressione e di morte”. La maggior parte delle recidive, sottolinea Cognetti, “ha un decorso inevitabile verso la malattia metastatica. Ecco perché il potenziamento delle terapie adiuvanti è l’unica via per ridurre le possibilità di ricaduta.

Studi recenti hanno dimostrato che farmaci innovativi, aggiunti alle terapie standard in quel 15-20% delle pazienti non ancora guarite, sono in grado di ridurre ulteriormente le recidive a distanza di 5 anni”

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