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“In Lombardia se un paziente ha i soldi vive, se uno non li ha, rischia la vita”. A dirlo è B.S, una paziente oncologica di Bergamo che denuncia le lunghe liste d’attesa nella sanità lombarda.

Fino al 2025 per alcuni esami diagnostici. Tempi talmente lunghi da costringere i pazienti che non hanno le possibilità economiche per andare da medici privati a non curarsi.

“Se pago 422 euro me li fanno fare domani” fa sapere la donna tramite la Cgil del capoluogo lombardo.

Durante l’ultima visita oncologica, il medico ha prescritto alla donna quattro esami diagnostici da svolgere entro il prossimo consulto. La paziente si è dunque attivata per prenotare gli accertamenti. Gli esami sono classificati dal medico con “priorità P”, ovvero programmabile. Per legge le prestazioni così contrassegnate dovrebbero essere erogate entro 120 giorni. “Ho cercato così di fissare una mammografia, un’ecografia mammaria, un Rx torace e un’ecografia dell’addome completo, esami per i quali fino all’anno scorso c’erano circa 6 mesi di attesa. Di questo ero consapevole – ha raccontato B. S. negli uffici della Cgil di Bergamo lo scorso 5 marzo – Al telefono però mi sono sentita rispondere che le prime date disponibili per tutti e quattro gli esami sarebbero a fine 2025. Dovrei, dunque, attendere quasi due anni“. Diversa la situazione nel privato con i tempi di attesa che si riducono notevolmente. “Sono riuscita a fissare i quattro esami entro due giorni – racconta la donna – Pur essendo io esente totale da ticket, cioè pur avendo diritto a non pagare nulla alla luce della mia patologia, nel sistema privato mi troverò a sborsare in totale 422 euro”.

“Invitiamo i cittadini a rivendicare il proprio diritto alla salute e a farsi sentire, scrivendo alle ASST a cui si sono rivolti per fissare esami e visite, e in protesta a richiedere secondo la normativa vigente, che venga garantita l’erogazione della prestazione indicata dalla propria ricetta entro i tempi della classe di priorità” ha spiegato oggi Carmen Carlessi della segreteria dello SPI-CGIL di Bergamo. “Non si può obbligare la popolazione a rinunciare alle cure, non si può ledere un diritto universale”.

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