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Ha un nome la persona che ha organizzato il viaggio della morte caricando enormemente il barcone, che dopo tre urti con la nave di soccorso, in 5 minuti, è piombato in fondo al mare, la domenica del 19 aprile, portandosi con sé il più alto numero di migranti.

Il suo nome è Jaafar. E’ libico e si fa chiamare da tutti il «grande direttore».

È colui che, a coloro che si stavano imbarcando, 50 per volta, faceva sapere, attraverso i suoi scagnozzi, di stare tranquilli. «Avete un buon comandante, retribuito con 10 mila dollari».

«Munito di pistola e bastone », armi che avrebbe utilizzato durante tutta la traversata per tenere a bada tutti i passeggeri.

I migranti hanno parlato anche di una persona uccisa a bastonate, e di altre fatte morire di stenti.

Il procuratore capo di Catania, Giovanni Salvi ha precisato che «le testimonianze raccolte devono essere ulteriormente consolidate».

Il comandante del barcone era in contatto telefonico con Jaafar ed «ha determinato con manovre errate l’affondamento» del barcone, ha spiegato Salvi.

Nessuna responsabilità viene invece mossa nei confronti del cargo portoghese ‘King Jacob’ che «ha collaborato al recupero dei naufraghi».

Filmata anche la fiancata della nave, lunga una quindicina di metri. Il barcone conteneva «circa 950 persone, di cui 200 donne e circa 40 o 50 bambini». Solo 27 si sono salvate e 25 i corpi senza vita recuperati.

Il giudice per le indagini preliminari, Maria Paola Cosentino, ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare nei confronti dei due scafisti.

In tale orrenda vicenda è stato possibile individuare nel tunisino Mohammed Ali Malek l’uomo che era al comando e un componente dell’equipaggio, il siriano Mahmud Bikhit Mahmud.

Malek «poco prima dell’impatto avrebbe lasciato il timone in mano a un inesperto» per nascondersi tra i migranti, questo è quanto emergerebbe dall’inchiesta.

Prima della partenza da Garabouli, in Libia, i migranti sono stati tenuti segregati a lungo «in una zona di campagna piena di magazzini con persone in attesa di partire dove non si vedeva il mare».

Il barcone affondato aveva tre livelli e i «due di sotto erano con le porte chiuse a chiave, la gestione era affidata a somali morti nel naufragio».

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