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Quando le pareti delle arterie sono molto rigide, il rischio di sviluppare un ictus o un infarto è molto elevato. Per questo motivo è essenziale agire tempestivamente al fine di ridurre al minimo tale probabilità. Una buona notizia, però, arriva dalla vitamina D.

«Le pareti delle arterie rigide sono un predittore indipendente delle malattie e del rischio di morte correlate al sistema cardiovascolare. E la carenza di vitamina D sembra essere un contributo», ha dichiarato il dottor Yanbin Dong, genetista e cardiologo presso il Georgia Prevention Institute del Medical College of Georgia dell’Università di Augusta.

Lui e il suo team hanno preso in esame 70 afro-americani di età compresa fra i 13 e i 45 anni. Ognuno di loro presentava un certo grado di rigidità arteriosa. La scelta della razza era dovuta al fatto che le persone di carnagione più scura hanno una probabilità più alta di avere una carenza di vitamina D. In seguito all’esposizione solare, infatti, la popolazione caucasica riesce ad assorbire dosi più elevate di vitamina D. Se poi una persona è in sovrappeso, il problema non fa altro che peggiorare perché il grasso «tende a sequestrare la vitamina D per nessun fine apparente», spiega Dong.

Durante lo studio gli specialisti hanno somministrato ai partecipanti una dose elevata di vitamina D, ovvero 4.000 Unità Internazionali, quantità che corrisponde a più di 6 volte la dose raccomandata dall’Institute of Medicine. E da qui hanno scoperto, che, chi aveva assunto simili dosaggi «ha ricevuto il maggior beneficio», ha dichiarato il dottor Anas Raed, ricercatore del Dipartimento di Medicina del Medical College of Georgia. Infatti, in soli 4 mesi tael vitamina è riuscita a ridurre oltre il 10% della rigidità arteriosa: questo accade, spiegano i ricercatori, perché «diminuisce significativamente e rapidamente la rigidità». Dosi meno elevate (2.000 U.I) sono riuscite a ridurla solo del 2%. Mentre con 600 U.I non si è riscontrato nessun beneficio – anzi, si è visto addirittura aumentare dello 0,1%. La pressione arteriosa, invece, non ha evidenziato alcuna mutazione durante i 4 mesi di studio.

Come sono riusciti a stabilire il livello di rigidità arteriosa.
I ricercatori sono riusciti a stabilire il livello di rigidità delle arterie grazie a un metodo non invasivo che utilizza tali onde. Quando il cuore batte, infatti, vengono generate delle onde. In presenza di una buona vascolarizzazione ci sono poche onde. Il test, in sostanza, fatto dai ricercatori, serve per misurare la velocità con cui si sta muovendo il sangue. «Quando le tue arterie sono più rigide, hai una maggiore velocità dell’onda del polso, che aumenta il rischio di malattie cardiometaboliche in futuro», spiega Raed. Con questo è stato possibile misurare l’arteria carotide e l’arteria femorale. Due elementi di primaria importanza secondo quanto suggerito dall’American Heart Association.

La dose di 4.000 Unità Internazionali è riuscita anche a ripristinare in sole otto settimane la secrezione dell’ormone parotideo, migliorando la salute delle ossa e l’assorbimento di calcio.

Infine, sottolinea, l’esperto, la vitamina D è in grado di inibire la proliferazione delle cellule muscolari lisce vascolari e la formazione di calcificazioni. «La vitamina D riduce anche l’infiammazione, un meccanismo correlato all’obesità e alla malattia coronarica».

Il nostro corpo produce vitamina D grazie all’esposizione solare e bastano 15 minuti al giorno di sole – dalle ore 10.00 alle ore 14.00 – per avere a disposizione la stessa quantità di vitamina.

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