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A causa degli effetti negativi del Covid-19 si rischia di ‘bruciare’ 160 miliardi di Pil. A sostenerlo è la Cgia di Mestre, secondo la quale nella più rosea delle ipotesi, il Pil italiano di quest’anno dovrebbe scendere, rispetto al 2019, addirittura al 10% circa. Per dare l’idea della dimensione della contrazione, è come se il Veneto fosse stato in lockdown per tutto l’anno. Con un crollo quasi doppio rispetto a quello registrato 11 anni fa, è evidente, per la Cgia, che una caduta verticale del genere avrà degli effetti negativi sul mercato del lavoro.

“Per questo diciamo no a qualsiasi chiusura generalizzata – rileva Zabeo – che aggraverebbe ancor più la situazione. Anche perché il peggio deve ancora arrivare. Quando verrà meno il blocco dei licenziamenti, infatti, correremo il rischio di vedere aumentare a dismisura il numero dei disoccupati”. Per il segretario della Cgia Renato Mason “oltre ad avere un carico fiscale indiscutibilmente eccessivo, una pressione burocratica che continua a penalizzare chi fa impresa e un calo degli investimenti molto preoccupante, che interessa in particolar modo quelli di natura pubblica, c’è un’altra grossa criticità che rischia di mettere in seria difficoltà tante aziende, soprattutto di piccola dimensione. Ci riferiamo alla nuova normativa introdotta dall’Unione Europea che interessa le banche”.

Per evitare gli effetti negativi dei crediti deteriorati, spiega, Bruxelles ha imposto a queste ultime l’azzeramento in 3 anni dei crediti a rischio non garantiti e in 7-9 anni per quelli con garanzia reali. “E’ evidente che l’applicazione di questa misura, in buona sostanza, indurrà moltissimi istituti di credito – aggiunge Mason – ad adottare un atteggiamento di estrema prudenza nell’erogare i prestiti, per evitare di dover sostenere delle perdite in pochi anni”.

Situazione che è in buona sostanza anche italiana. Le previsioni, peraltro, danno un tracollo dei consumi delle famiglie di circa 96 miliardi di euro.

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