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Il Veneto deve fare i conti con una vera e propria emergenza, la West Nile, la terribile febbre del Nilo.

Un febbrone che arriva all’improvviso accompagnato da malessere generalizzato, anoressia, nausea, cefalea che ti fa pensare subito ad un possibile raffreddore, ti fa perdere tempo, cosa che poi ti crea seri rischi e terribili conseguenze.

Ad oggi si parla infatti già di alcune vittime.

Il virus è stato registrato per la prima volta in Uganda nel 1937 a causa di una donna che soffriva di una febbre particolarmente alta. In seguito è stato trovato negli uomini, negli uccelli e nei moscerini in Egitto negli anni cinquanta, diffondendosi infine anche in altri Paesi del mondo causando serie epidemie e morti.

In Italia, il virus viene portato soprattutto attraverso le zanzare. Una situazione surreale, che si sta trasformando in incubo per i tutti i cittadini veneti, dopo i 12 casi gravi e il decesso avvenuto a Verona.

Allo stato attuale non esiste un trattamento specifico che permetta l’eradicazione dell’infezione da virus WNV.

La terapia è pertanto unicamente di supporto e indirizzata ad attenuare la possibile evoluzione verso l’edema cerebrale.

Nei pazienti con marcata alterazione dello stato di coscienza o in coma il trattamento è indirizzato al mantenimento delle funzioni vitali, con particolare riguardo ad una adeguata pervietà delle vie aeree. Spesso questi pazienti si trovano già ricoverati in terapia intensiva o in rianimazione e talvolta necessitano di ventilazione assistita.

Il perdurare della febbre può determinare una marcata perdita di liquidi corporei, a seguito della traspirazione insensibile: in questi casi è necessario provvedere ad una adeguata infusione per via endovenosa di fluidi (soluzione fisiologica, soluzione di ringer lattato ed altre) verificando periodicamente l’adeguatezza dell’equilibrio idro-elettrolitico.

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