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Compie oggi, due anni il pontificato di Papa Francesco. Un Papa che riesce ad avvicinare anche i più scettici a Dio e alla Chiesa.

Un papa umile, vicino agli ultimi, ai bisognosi, ai malati. Un Papa che dal 13 marzo del 2013 si presentò al mondo con queste parole: “Fratelli e sorelle, buonasera” e chinando il capo di fronte alla folla disse: “pregate per me“.

Arcivescovo di Buenos Aires, ha scelto il nome, Francesco, come il poverello di Assisi, e quella sera, in piazza San Pietro fece subito capire quale sarebbe poi stata l’impronta che avrebbe voluto dare al suo pontificato.

Un linguaggio nuovo, il suo, umile e semplice; dalle visite nelle parrocchie delle periferie di Roma alle udienze del mercoledì in piazza; dall’uso dei social network, alla decisione di vivere nel convitto di Santa Marta, dalla scelta di portare croce e anello del pescatore in argento, di portarsi lui la borsa, di indossare abiti da sacerdote, viaggiare in utilitaria, di fare selfie con i giovani, tutti gesti che lo rendono speciale, umano, vicino ai fedeli alla Chiesa, e che portano a nuove conversioni, a far amare Dio anche ai giovani, ai quali ha anche suggerito di chiamarlo ‘Nonno Ciccio’.

Un modo, il suo, di predicare il Vangelo e la parola di Dio, con molta carità e umanità. Non mette distanze, non è chiuso nelle mura vaticane.

Nel convitto dove vive, si sveglia alle 5. Pranza e cena nel refettorio comune assieme ai collaboratori, e a volte ama chiede di cucinare lui.

«Non posso vivere da solo», aveva dichiarato appena eletto. «Mi piacerebbe uscire, però non si può. La vita per me è la più normale che posso fare», aveva spiegato in un’intervista a chi gli chiedeva se si sentisse prigioniero.

E per sfuggire ad una vita in cui ogni suo movimento dovrebbe essere facilitato, il Papa decide di essere libero da schemi e costrizioni. Non segue etichette, precauzioni, cerimonieri. Guida una vecchia Ford Focus blu. Si muove dentro il Vaticano sotto lo sguardo degli uomini della sicurezza che hanno imparato a rispettare la sua personalità.

Esce quando e come vuole lui. E nel giorno di inizio del suo terzo anno di pontificato ha ribadito con forza che il filo conduttore della sua opera è la “misericordia”. «Chi sono io per giudicare?“.

Papa Francesco è un pontefice che avvicina e non allontana. Che sta cambiando il Vaticano, dentro e fuori le Mura Leonine.

Regala ai fedeli gesti inconsueti, spiazzanti, battute esempi originali, a partire dai suoi saluti: «Buon giorno! Buon pranzo! Arrivederci! Non dimenticatevi di pregare per me!».

E al di là dei discorsi e del suo modo schietto di rivolgersi alle folle, nelle udienze generali, nell’Angelus domenicale, nei messaggi scritti, nei discorsi durante le sue visite alle “periferie esistenziali” riesce a compiere azioni concrete, alle quali seguono dei fatti.

Come avvenuto in ambito ecclesiastico, finanziario, sociale, etico, diplomatico. E’ intervenuto sullo Ior, ha chiesto e ottenuto la chiusura dei conti correnti “opachi”, ha istituito una super Segreteria per l’Economia trasformando l’Aif in una sorta di banca centrale vaticana, un accordo di informazione e trasparenza nel negoziato con l’Italia che porterà la Santa Sede a essere cancellata dalla “black-list”.

Ha nominato un Consiglio dei Cardinali per riformare la Curia Romana, per revisionare il numero dei dicasteri vaticani e del loro accorpamento. Sta contrastando in tutti i modi la pedofilia, con pene severe.

Ha istituito un Sinodo straordinario sulla famiglia, una vera e propria di discussione su coppie di fatto, omosessualità, sacramenti ai divorziati risposati, ai matrimoni religiosamente “misti”, aborto, eutanasia, fecondazione artificiale, ruolo delle donne nella società e nella chiesa, ribadendo che i parroci nelle loro parrocchie non devono imporre un tariffario nella somministrazione dei sacramenti e in merito all’annullamento del matrimonio alla Sacra Rota, deve essere accessibile a tutti, e i tempi più stretti.

In campo internazionale, ha scelto il nuovo Segretario di Stato Vaticano, il cardinale Pietro Parolin, con il quale ha portato avanti grandi successi diplomatici come la “riconciliazione” tra Usa e Cuba, telegrammi tra Santa Sede e Cina in occasione del sorvolo aereo del viaggio apostolico in Asia, una preghiera con i leader di Israele e Palestina, nelle mura vaticane, una veglia di preghiera per il Medio Oriente che ha contribuito a scongiurare l’intervento in Siria.

Ed ancora, gesti tipici da vescovo, da sacerdote ma che somigliano meno a quelli di un Pontefice.

Non ama ori e velluto, sceglie di vestire di bianco e di coprirsi il capo solo con la “papalina”. Spesso la scambia con i fedeli durante le udienze, e anche se piove e c’è allarme terrorismo, preferisce girare in piazza in jeep scoperta.

Mette all’asta i suoi regali che raccogliere fondi e fare beneficenza. Da quando c’è lui la chiesa ha devoluto più soldi di quanto l’avesse fatto in passata.

Ha fatto costruire docce per i senza tetto, offrendo loro biancheria intima, prodotti per l’igiene e servizio barbiere.

Esce di notte, con il suo elemosiniere, per andare incontro ai bisognosi, offrire loro aiuti economici.

Ha scelto di recarsi a Lampedusa, affrontando il difficile tema dell’immigrazione clandestina, in Sardegna, in Calabria, e tra pochi giorni, farà ritorno in Campania, dove già a luglio scorso, è stato in visita a Caserta, dove ha affrontato il difficile tema della corruzione e della Terra dei fuochi.

Un Papa che condanna i corrotti, coloro che sfruttano il prossimo e la classe politica, chiedendo una società più equa, assistenza sanitaria e diritti per tutti.

Ed in questo giorno, così importante per lui e per tutti, sceglie ancora la semplicità, nessuna festa, solo una celebrazione penitenziale: la gioia del perdono, che si può provare solo riconoscendosi peccatori.

Siamo ministri della Misericordia”, ha ricordato a tutti i confessori. “Anche il più grande peccatore davanti a Dio è terra sacra”. Alla chiesa, ai cristiani, indica che solo due sono le strade da seguire: o l’amore o l’ipocrisia. Un’altra strada non c’è.

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